IL
SOGNO PROIBITO DI SUPERARE LA DISTANZA
su Welcome (2009, di Philippe Lioret)
di
COSTANZA TABACCO
LEANDRO:
Ahi! Perchè nacqui sull'opposto lido D'Asia, cui rode eterno mareggiar!
ERO:
Odio il mare che sta fra Tracia e Abìdo. Ahi! mar crudele! ahi! spaventoso mar!
LEANDRO:
E per quest'odio io t'amo e dei profondi flutti disfido l'invido furor.
Nel nostro bacio s'uniran due mondi, Due mondi s'ameran nel nostro amor.
Mentre il vicino di casa sbraita contro di lui come
un'isterica in attesa di poterlo beccare con le mani nel sacco, Simon si
sofferma per un attimo sulla parola "welcome" che a chiare lettere fa bella mostra di sé sullo
zerbino di fronte alla sua porta. Simon ha letto e riletto quella scritta, ma
solo ora essa gli si rivela in tutta la sua potenza perché egli è ospite nel doppio
ruolo di chi accoglie e di chi chiede accoglienza. Offrendo ospitalità ad uno
sconosciuto immigrato clandestino, infatti, Simon vive sulla pelle
l'accoglienza dell'altro – cosa di cui si era fino a questo momento
disinteressato per ignoranza, o per paura, in ogni caso provocando l'allontanamento della moglie. Tale gesto, e l'apertura verso l'esterno che esso comporta,
lo rende immediatamente straniero in casa propria: Simon passa dalla parte dei
trasgressori della legge ed entra, perciò, in una zona in cui nessuno è
disposto a seguirlo né tanto meno a proteggerlo; diviene, egli stesso, un
perseguitato. Accogliendo lo straniero egli si ritrova, perciò, ad essere a sua
volta un forestiero, un ospite sgradito nel suo stesso condominio e nella sua
stessa città.
Lo zerbino sdrucito, la porta anonima e gli sguardi
sospettosi del “solito rompicoglioni” del dirimpettaio non possono più essere semplicemente visti e
dimenticati – o per meglio dire essere lasciati fuori dalla porta: tutti
i particolari assumono un colore acido che punge gli occhi e denuncia quella
stessa ipocrisia che, fino a poco prima, dormiva imbavagliata ai margini della
soglia. Simon comprende adesso l'usura cui è stato consegnato il verbo
"dare il benvenuto": esso è diventato l'emblema della falsa coscienza
in cui mediamente si vive e ci si nasconde. Le parole sono i ventagli dietro i
quali celiamo le nostre bocche, sdentate in sorrisi maligni ed impauriti; ma
c'è dell'altro, pena relegare il film di Lioret all'interno di un genere tanto
"sociale" quanto inutile socialmente. La beffa, intuisce in
quell'attimo di rabbia ed indignazione Simon, sta nel fatto che nella parola
"benvenuto" è racchiusa un'omertà di fondo: essa contiene in anticipo
un destinatario, un indirizzo. "Benvenuto" non significa che si è in
presenza di un'apertura: questa parola segnala, al contrario, la presenza di
una chiusura, di un ostacolo da superare, di un confine, ed è questa la
metafora impietosa sottesa all'immagine di uno zerbino posto davanti a
qualsiasi abitazione. Le porte non possono che restare chiuse a chiave dato che
l'essere benvenuto non è una condizione in cui può trovarsi chiunque
approdi in una terra straniera, ma solo chi vi ci arrivi chiamato, atteso,
convocato; come a dire che si è benvenuti solo a patto di essere stati
invitati. E questo vale per un qualunque condominio di Calais come per la
stessa costa dell'Inghilterra che appare così vicina nelle mattine di cielo
terso.
Ogni luogo, fisico e non, è, secondo Loiret, il teatro di
continui sbarramenti ed ostacoli alla comprensione ovvero alla vicinanza: tutti
i personaggi si trovano ad essere, presto o tardi, estranei l'uno per l'altro
– emblematico è, tale proposito, l'amplesso tra Simon e l'ex-moglie, il
quale esprime il paradosso di una vicinanza fisica che è frutto di un abisso di
separazione.
Bisogna dire, però, che l'esperienza dell'ospitalità da
parte di Simon si contrappone didascalicamente a quella dei volontari che
stanno al porto ad accogliere tutti gli immigrati senza interessarsi con
passione a nessuno: Simon, il meno altruista tra i personaggi, si rivela il più
ospitale, mentre in quella dinamica rigida che è il volontariato non possono
accadere incontri né svilupparsi amicizie. Dunque è giusto dire che vi sono
almeno due modi per sopportare la distanza: quella dei volontari, trasgressivi
della, e nella, legge dello stato, e quella degli anarchici – Simon,
appunto. Se i ruoli nel volontariato non sono interscambiabili, e nessuno, sia
da una parte che dall'altra, può mai varcare i propri confini né cercare di
accorciare la distanza che li separa, la prospettiva di Simon, come vedremo,
non è comunque “migliore” né nelle sue cause, né tanto meno nei suoi effetti.
Bilal (dopo un viaggio in treno lungo quanto una stagione
e scampando alle torture) giunge nel porto di Calais, che acquista i tratti
dello zerbino sporco e anonimo su cui si affaccia la costa dell'Inghilterra
– quella porta “a portata di mano” e, tuttavia, impenetrabile - una manica
di abisso: l'orizzonte inganna la vista di colui che può solo continuare a fuggire. In poche bracciate sembra si
possa riuscire a toccare l'isola che è metafora di una nuova vita, una terra
promessa. Il confine c'è, pur se invisibile: il freddo e le
correnti rendono l'impresa disperata, la distanza incolmabile, ma Bilal sa che
non ha scelta, sa che deve tentare con ogni mezzo di raggiungere la sua Myna, la Meta, che come nelle
favole ha un padre cattivo che la tiene chiusa in casa in attesa di un fruttuoso
pretendente. Anche lei è un'altra straniera in casa propria. La storia,
indecisa se trasformarsi in documentario o in romanzo, segue il giovane nei
suoi pericolosi scontri con la Francia di Sarzoky: Bilal inizialmente sosta
insieme ad altri centinaia di ospiti illegali in una baraccopoli dove un minuto
di telefonata al cellulare può costare 10 euro, se non la vita stessa.
Mentre gli altri immigrati clandestini accettano
l'accoglienza part-time che alcuni cittadini offrono loro sfidando le
retate della polizia, il giovane curdo, in fuga contro il tempo, si avventura
in cerca di una piscina in cui allenarsi e qui trova l'aiuto di Simon; il film
si fa condurre dai protagonisti verso i territori del sogno: Bilal era in Iraq
“il corridore” e Simon era ai suoi tempi una promessa del nuoto olimpionico.
Entrambi sono sopravvissuti alla morte del proprio sogno (di identità e di
riconoscimento) e cercano adesso di ricostruirlo, senza vedere che si avviano
verso un vicolo cieco. Ciò che li lega è l'inganno dolce di un gioco di
proiezioni incrociate: ognuno vede nell'altro il miraggio di un qualcosa che
non è stato, ma che potrebbe ancora essere. Forse è questo il marchio osceno
– egoista – di ogni amicizia: l'illusione che le distanze si
possano annullare, che l'amore vinca sulle differenze. L'impresa è disperata,
come ogni desiderio: è irrinunciabile ed ipnotica come lo sguardo della Medusa
e la volontà di attraversare la distanza non basta.
Quando il personaggio di Vincent Lindon, il Bill Murray
dei Francesi, va a recuperare sulla riva il giovane, che ha la pelle color
indaco a causa della prima prova di “attraversamento”, essi si riscaldano
chiacchierando nella macchina di Simon e si riflettono l'uno nell'altro; così
vicini non lo saranno mai più eppure Simon non riesce a persuadere Bilal a non
compiere l'impresa impossibile. Welcome rivela la sua missione sentimentale (e non morale): confrontarsi con la forza della distanza, non in senso
fisico bensì in senso emotivo. Simon non può trattenere sulla riva Bilal, non
riesce a fargli cambiare idea, perché non può convincerlo: egli lo tratta come
un figlio e lo lascia lottare col mare perché si renda conto che deve
rinunciare, ma tutto si dimostra inutile a salvare l'ospite.
Bilal il mare lo solca con determinazione e coraggio, ma
senza riuscire ad oltrepassare la distanza che lo separa dal suo amore “da
favola”. Perché? Il dramma mette in scena la situazione umana assediata dalla
distanza, gettata nella separazione e dunque nella solitudine del proprio io
confinato in un corpo inerme. La distanza non provoca solo differenze e
scontri, ma genera anche proiezioni capaci di confondere le immagini e
illanguidire le prospettive: sembra che le sponde si possano riunire e le
bocche serrare in un casto bacio. L'unione è proibita e l'accoglienza uno
slogan, perché ogni uomo è un'isola, inaccessibile e indefinitamente “lontana”.
Il paradosso è semplice: la vicinanza si misura attraverso la distanza, è la
distanza che unisce gli uomini nell'abbandono.
Ero e Leandro non smettono di trovare i loro eredi: le
correnti, visibili solo dall'alto di una prospettiva neutra e non umana,
avvertono che non si può sfuggire all'umano destino: ogni cosa torna verso la
(propria) riva. Esse spingono nella direzione contraria ai sogni e lavorano per
ridefinire senza interruzioni la costa di ogni esistenza, abbandonata nel mare
dell'essere. La speranza di liberare i confini non smette dunque di naufragare
sui nostri scogli: nel vento si ode appena il monito di antichissime sirene:
“l'ospite non è mai il benvenuto”.