LA
DETARKOVSKIZZAZIONE DEFINITIVA DELLA
MADONNA DEL PARTO DI PIERO DELLA FRANCESCA
di
SANDRO SPROCCATI
Piano-sequenza
(1). Un’automobile Volkswagen “Maggiolino” percorre una pista carrareccia in
territorio toscano, tra le nebbie autunnali del tardo pomeriggio (campo
medio-lungo). Si ferma in mezzo alla brughiera (dopo essere uscita di quadro e
esservi rientrata in campo medio-breve). Ne discende una giovane donna
(italiana, ma in grado di parlare il russo con disinvoltura) e scambia qualche
parola con l’uomo che è rimasto all’interno della vettura. Con chiaro accento
russo, questi le chiede (in italiano) di parlare italiano. «Vedrai, è un quadro
straordinario!», dice la donna... «Allora, vieni?», aggiunge dopo altre poche
frasi, mentre si avvia nel prato. La risposta dell’uomo è categorica: «Non
voglio». «Io vado avanti, ti aspetto dentro...», conclude lei. «Ho detto: non
voglio!». L’uomo scende dall’auto, ma rimane presso lo sportello, e aggiunge,
come a se stesso, in russo: «Sono stufo delle vostre bellezze... Non voglio piú
niente solo per me, nessuna bellezza... Non ce la faccio piú». Nel frattempo la
ragazza si è allontanata, uscendo di quadro in alto sul prato. L’uomo sembra
volerla seguire e, quando l’occhio della camera si alza per accompagnarlo lungo
il sentiero, rivediamo anche lei ormai lontana e sfumante tra i vapori. Sullo
sfondo, in cima a un dosso, si staglia tuttavia la sagoma di un edificio
antico, con ogni evidenza la meta del viaggio.
Stacco,
senza dissolvenza, e piano (2). Interno di una cripta romanica. La camera muove
il proprio quadro tra le serie di colonne, seguendo la donna dall’ampia capigliatura
biondo-rossastra, che procede a passi lentissimi. Un gruppo di altre donne
inginocchiate, tutte con la testa coperta da foulard, entra in campo per un
attimo. La ragazza si volge verso la cinepresa, ma in realtà – come si
capirà tra un secondo – verso l’abside della cripta.
Stacco,
senza dissolvenza, e nuovo piano (3). In controcampo, carrello lento e
inesorabile verso l’abside: centinaia di candele accese sui gradoni dell’altare
(assente) sono sovrastate da una nicchia dipinta sul muro di fondo: nella
nicchia la pittura finge due angeli simmetrici e perfettamente speculari che
aprono le cortine di una tenda da campo quattrocentesca, al centro della quale
si innalza, in posizione ieraticamente immobile, una donna giovane ma dal
fisico imponente: l’apertura della tenda, il gesto angelico, ne rivela la
sacralità assoluta, mentre ella stessa svela, con il gesto della mano, la
presenza di una seconda apertura, uno spacco ampio e verticale nel suo abito,
in coincidenza del ventre rigonfio: il sesso... la gravidanza... la nascita...
Stacco,
senza dissolvenza, e nuovo piano in controcampo (4). La donna guarda il
dipinto, mentre una voce maschile fuori quadro le chiede: «Anche lei desidera
un bambino?... O vuole la grazia per non averne?». «Sono qui solo per
guardare...». Per mezzo di uno spostamento laterale della camera, compare
vicinissimo il volto dell’interlocutore, il sagrestano della chiesa. Si volge
alla camera di tre quarti, quasi di straforo, e sembra parlare direttamente
allo spettatore. Con voce pacata e alquanto solenne, ma anche vagamente
ironica, avverte: «Purtroppo, quando c’è qualcuno che è distratto... estraneo
all’invocazione, allora ’un succede... nulla.».
Nella
prima sequenza di Nostalghija (1982) – che in verità è la seconda,
ma solo se si considera come “testuale” e non “pretestuoso” il fugace coito
onirico, in bianco e nero, con un’infanzia russa caliginosamente rievocata
sotto lo scorrere dei titoli di testa – Andrej Tarkovskij presenta la
figura simbolica alla cui insegna ha deciso di porre il suo film italiano, e
intorno alla quale andrà perciò a svilupparne la struttura fortemente
allegorica. Si tratta della tentata visita del protagonista, il poeta Andrej
Gorchakov, alla Madonna del Parto di Piero della Francesca, che
immediatamente “precipita” nel rifiuto di costui di vedere il dipinto, e che
poi, invece, per lo spettatore tuttavia si attua. È l’amica e compagna di viaggio di
Gorchakov a entrare nella cripta romanica dove l’opera soggiorna, e a
scoprire il culto collettivo che
le viene da sempre attribuito. Come una liturgica icona bizantina, la Madonna
del Parto palesa il suo carattere di opera eccezionale all’interno del
patrimonio della pittura toscana del Quattrocento, e su tale carattere, inteso
come chiave sostanziale di determinazione del valore, il regista russo affonda
le dita avide della sua esegesi, ovvero del suo tributo entusiasta all’opera di
Piero. Essa è infatti (meglio, era al tempo in cui Nostalghija fu
girata) uno dei pochi prodotti d’arte sacra capaci di mantenere immutata la
propria originaria sacralità, giacché, come è noto, ancora oggi (meglio, ancora
negli anni ottanta del ventesimo secolo) costituisce (costituiva), per le
giovani spose e per le puerpere di Monterchi presso San Sepolcro, un talismano
di formidabile efficacia apotropaica. Visitare la Madonna del Parto significa(va) propiziare la fecondazione, e altresí la felicità della
gestazione e della nascita, in sostanza assicurarsi la benevolenza della
Vergine-Madre per l’esperienza vissuta da queste donne come la più importante e
rischiosa della propria vita.
Ma ciò
che balza all’occhio del conoscitore d’arte è il fatto – apparentemente
strano – che l’affresco di Piero della Francesca è stato da Tarkovskij
delocato e ricontestualizzato contro ogni ossequio per la verità
filologica e storiografica. La cripta in cui il film depone la Madonna del
Parto non si trova affatto a Monterchi, e non ha nulla a che vedere con la
Cappella del Cimitero per la quale l’opera fu eseguita e in cui ancora si
trovava ai tempi di Nostalghija.
È invece la cripta della chiesa di San Pietro a Tuscania, nell’alto Lazio, a
circa centotrenta chilometri di strada da San Sepolcro.
Bisognerà
osservare, innanzi tutto, che la collocazione autentica del dipinto (la Cappella
del Cimitero di Monterchi) presentava – agli occhi del regista russo, si
può inferire, in quanto agli occhi di qualunque essere umano dotato di una
minima sensibilità culturale e dunque di una minima capacità di intendere il senso
complessivo di un’opera d’arte – due aspetti “positivi” e uno, per
cosí dire, “negativo”. Il primo aspetto positivo consiste nel fatto che
l’opera era conservata, appunto, nella chiesa per la quale fu effettivamente
realizzata anche se (ecco l’aspetto negativo) tale chiesa, la
duecentesca basilica di Santa Maria in Momentana, era stata trasformata e
sostanzialmente “annichilita” nel 1785, allorché due terzi della navata furono
demoliti per fare spazio all’allestimento dell’attuale cimitero.
La parte
rimanente, dopo la necessaria apertura di una nuova entrata sul fronte sud del
transetto, costituisce infatti la sussistente Cappella del Cimitero,
all’interno del cui “nuovo spazio” la Madonna del Parto risultava in piú
di un senso disorientata. Piero aveva concepito l’immagine e l’effetto mistico che da essa doveva discendere partendo, com’è ovvio, dai dati concreti della
sua posizione in rapporto al luogo architettonico: chi entrava nella chiesa
scorgeva fin da subito il dipinto in fondo all’edificio, al termine e al centro
di due fughe convergenti di colonne romaniche, precisamente nell’occhio
prospettico della piccola basilica, ossia nell’incavo di una nicchia absidale a sua volta
incorniciata da colonne.


Il “mistero”
della doppia apertura che l’opera viene a tematizzare, nel proprio linguaggio
simbolico e ponendo il visitatore in condizioni di fascinazione estrema, si
avvaleva di un tragitto a zoom (in termini cinematografici), ossia di un
progresso necessariamente lento verso il dipinto, e dunque di una graduale scoperta dell’immagine, vale a dire esattamente di quell’elemento indispensabile (nel
dispositivo semiotico) che Tarkovskij restaura in Nostalghija (dove svelamento significa apertura progressiva allo sguardo). Inoltre, un cono
di luce, proveniente dal rosone della facciata, colpiva l’affresco al tramonto,
facendolo risplendere di un’accensione che lo centralizzava ulteriormente nel
contesto della chiesa.
Lo svantaggio che l’alterazione dell’edificio ha determinato per il
dipinto – senza dubbio enorme e irreparabile – era tuttavia almeno
in parte compensato da quello che considero il secondo aspetto positivo della sua moderna collocazione: sia pure senza alcuna responsabilità diretta di
Piero, dal 1785 in poi il significato della Madonna del Parto si è
impadronito dell’inopinata presenza del cimitero nelle immediate adiacenze.
Voglio dire che, venendo ora a coniugare, quasi suo malgrado, e malgrado le
intenzioni esplicite dell’autore, il tema della nascita con quello della morte,
e anzi sovrapponendo all’ineluttabilità della morte (nel luogo medesimo del suo
rito) la speranza della vita che sopra la morte incessantemente si leva e si
rigenera, l’icona della Madonna Gravida (di vita e di fiducia, di promesse agli
uomini di una felicità futura in grado di sconfiggere la disfatta del mondo
terreno) veniva a suggerire, proprio nel cuore pulsante del suo senso piú
riposto, la risoluzione di ogni singola nascita, e perfino della singola
nascita di Cristo salvatore, nel mito della rigenerazione assoluta cui tutte le
religioni tendono: una palingenesi esplicitata.
Tarkovskij dimostra in Nostalghija di aver compreso tutto ciò.
E d’altra parte è questo il dato per cui elegge la Madonna del Parto a
centro motore e chiave di volta del suo testo cinematografico. In tale
comprensione – che subito si riversa in appropriazione, in costruzione
artistica personale – c’è anche la penetrazione piena (dico a un
altissimo livello di coscienza) del meccanismo per cui ogni opera d’arte vive nell’insieme di circostanze in cui è inserita e trae da quelle circostanze la
propria stessa capacità di produrre significato. Tarkovskij ha deciso di
rinnegare il cimitero di Monterchi, certo, ma lo ha fatto dopo un lungo
travaglio che, anche sulla base di quanto ne riferisce il suo collaboratore
Tonino Guerra, possiamo ritenere non poco doloroso; egli ha rinunciato al
rispetto della verità logistica e ha trasferito a Tuscania la scena
dell’approccio al dipinto: ma con il fine evidente di (ri)sacralizzarlo nella
direzione imboccata piú di cinque secoli prima da Piero della Francesca.
Se si volesse a questo punto fare qualcosa di assolutamente contrario,
qualcosa che andasse violentemente contro Tarkovskij e contro Piero, non vi
sarebbe che da rimuovere effettivamente l’affresco, distaccandolo dal
suo muro, estraendolo dalla sua nicchia, dalla sua cappella e dal suo cimitero:
ma non per installarlo in una antica e solenne cripta romanica, bensí per
trasferirlo in un luogo asettico e moderno, privo di connotazioni religiose,
privo di aura, privo di tempo e di spazio (storico)... Magari per “proteggerlo”
dal rischio delle muffe e per agevolarne la fruizione pubblica di massa, magari
allestendogli intorno un piccolo museo della storia di Monterchi, magari in un
edificio comunale in disuso, magari (perché no?) nei locali di una ex-scuola
costruita negli anni Cinquanta del ventesimo secolo... Ebbene, è proprio questo
che sciagurate menti hanno concepito per la Madonna del Parto –
uno dei testi pittorici piú degni di riguardo della nostra tradizione artistica
– in quel di Monterchi, allorché hanno realmente fatto distaccare
l’affresco e l’hanno realmente ricollocato in uno squallido edificio del borgo
sulla collina (uno dei pochi davvero squallidi in un borgo per altro
bellissimo, di antiche case in pietra). Oggi la Vergine-Madre di Piero
soggiorna spaesata – tra i suoi angeli ormai superflui e in una tenda che
non ha alcuna piú ragion d’essere – all’interno di un orribile catafalco
in cemento armato, sotto un vetro anti-proiettile, in una sala con sole luci
artificiali (ovviamente studiate per non nuocere alla sua già preziosa
superficie cromatica), in attesa che le torme dei torpedoni possano, dopo lauto
pranzo a base di porchetta nelle osterie dei dintorni, indicarla a dito come
l’incomprensibile oggetto di una nuova liturgia che gli organizzatori di gite
turistiche hanno per loro concepito e nelle loro deboli teste facilmente
insinuato. E il dipinto non sembra piú nemmeno un dipinto... A voler essere
esatti, ci appare come una grande cartolina illustrata, un vago ricordo
fotovisivo, un trucco per gli ingenui adepti della riproducibilità tecnica
dell’opera d’arte e di ogni altra verità, la larva (deflorata) di ciò che fu
nei secoli la stupefacente bellezza della Madonna del Parto:
definitivamente detarkovskizzata!
Monterchi,
estate 2007 – Bologna autunno 2007
N.B.
Gli schemi grafici che illustrano il testo sono tratti da G.Botticelli, Il
restauro della Madonna del Parto di Piero della Francesca, 1994 e da
Aa.Va., Convegno Internazionale sulla "Madonna del Parto" di Piero
della Francesca, 1982.