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IL CANTO DEL CIGNO DI MIYAZAKI

su The Wind Rises (2013, Hayao Miyazaki)

di ENRICO FERRATINI

 

La parabola che un artista traccia nel corso della sua carriera è generalmente un disegno con un proprio ordine interno, di cui ogni parte, cioè ogni singola opera di cui è composta, contribuisce a dare un senso complessivo a tutto l'insieme. Spesso capita che nella produzione di un grande regista vi sia un film che dà un senso più profondo a tutti i suoi precedenti, illuminando l’intera sua produzione di una luce nuova (è il caso, per fare alcuni esempi, di Monsieur Verdoux per Chaplin, Fanny e Alexander per Bergman, Falstaff per Welles). In questo senso, The Wind Rises, l’ultimo film di Hayao Miyazaki (sia nel senso che è il suo ultimo film uscito, sia che è l’ultimo della sua filmografia, poiché l’autore ha affermato che non ne farà più altri), dà la netta sensazione, a chi lo guarda, di essere la vera e propria conclusione di un discorso portato avanti nel corso della sua filmografia, quasi fosse il capitolo conclusivo di un’opera pensata fin dall’inizio per arrivare proprio lì. È un film che, oltre ad essere bello in sé, ha anche la qualità di rendere più belli tutti i film di Miyazaki precedenti, che sembrano acquistare, con l’uscita di questo, più profondità e spessore di prima. Così La città incantata, La principessa Mononoke, Porco Rosso non si faranno più vedere esattamente con gli stessi occhi.

Generalmente, si potrebbe affermare che Miyazaki sia autore di film felici; cioè di film che, pur accogliendo anche tutti gli aspetti più negativi dell'esperienza umana, sempre comunicano allo spettatore, per così dire, un sentimento positivo verso la vita. Eppure, Miyazaki ha più volte dichiarato di essere un uomo profondamente pessimista. «C'è in me moltissimo pessimismo, sconforto e disperazione», ha detto in un'intervista. «Ma non mi va di esprimerlo in film che verranno visti da dei bambini. Sono più interessato a quel che mi può portare a fare un film felice». Quindi questo prevalere nei suoi film di un sentimento conciliante, sembra, dalle sue parole, costare a Miyazaki un certo sforzo, quasi andasse contro la propria naturale inclinazione di uomo. Stando alla sua affermazione, c'è effettivamente da chiedersi come sia possibile che un uomo che davvero abbia una visione tanto cupa del mondo sia stato capace di fare film come La città incantata o Il mio vicino Totoro, che a prima vista sembrerebbero invece appoggiarsi su un ottimismo radicato nel profondo. Sono allora queste un mucchio di belle bugie che il regista ci racconta per il piacere di crear favole nel cui sentimento di fondo egli stesso non crede? Oppure quella che esprime è effettivamente la sua visione del mondo, e trova il modo di farsi fraintendere? Sono dubbi che mi ero posto già da qualche tempo, e vedendo The Wind Rises al festival del cinema di Venezia ho avuto l'impressione di aver capito un po' più a fondo la questione.

Il film è ambientato in un contesto storico preciso, il Giappone tra gli anni '10 e gli anni '40 (uno dei pregi del film è senz'altro la precisione della raffigurazione del Giappone di quelle decadi, il graduale cambiamento dei costumi, dei vestiti, dei paesaggi...). La storia è quella della vita dell'ingegnere aeronautico Jiro Horikoshi: da una parte la passione per il volo, il lavoro, la realizzazione degli aerei Mitsubishi A6M (gli aerei utilizzati dai kamikaze giapponesi durante la seconda guerra mondiale) e, dall'altra, la sua storia d'amore, tanto breve quanto pregnante, con Naoko, una giovane donna malata di tubercolosi. The Wind Rises ha generato qualche confusione fra pubblico e critica perché è assolutamente diverso da tutta la produzione precedente del regista, di cui sembra essere, per molti versi, proprio la contraddizione: tanto per cominciare, i suoi film erano sempre rivolti a un pubblico anche infantile, mentre questo è rivolto a un pubblico solo adulto. Poi in tutti gli altri film, senza eccezione, l'elemento fantastico era sempre stato preponderante, mentre qui non solo non v'è alcuno spazio per la magia, ma la realtà che v’è rappresentata è privata di qualunque aspetto magico o anche solo edulcorante, sempre carica di tutto il peso delle fatiche della vita quotidiana. Insomma, qualcosa di tutto diverso da quella levità a cui Miyazaki ci aveva abituati fin dai tempi di Totoro. Così, costruire un aeroplano, lungi dall'essere quella sorta di lavoro ideale, quel gioco da bambini che ci appariva in una scena di Porco Rosso, questa volta è descritto come un lavoro duro ed estenuante, fatto del sudore della fronte e del grasso dei bulloni. Per finire, The Wind Rises sembra essere impregnato fino in fondo di tutto quel pessimismo che Miyazaki sostiene di avere dentro di sé. La visione della Storia che ne dà è cupa, disperata. L'amore fra i due protagonisti sembra, accanto agli avvenimenti del mondo esterno, qualcosa di talmente piccolo e fragile da non avere speranza di sopravvivere. Il sogno del protagonista di creare aeroplani è destinato in partenza a portare alla realizzazione di strumenti di morte e distruzione. Il finale del film sembra perfino uscire dal suo contesto storico particolare e suggerire una sorta di minacciosa profezia apocalittica sul futuro cui andiamo incontro.

Sconvolge dunque, senza dubbio, la differenza fra questo film e tutte le precedenti favole miyazakiane; ma ancora di più sconvolge, a ben pensarci, la somiglianza fra questo e quelle: tutti i contenuti di The Wind Rises sono in realtà gli stessi degli altri film di Miyazaki, né diverso è il punto di vista che l'autore mantiene su di essi. Ma quello stesso dolore che negli altri film era solo nascosto, sotteso, qui è scoperto, come se, col suo ultimo film, Miyazaki ci tenesse per una volta a parlar chiaro. La storia d'amore fra Horikoshi e Naoko è esattamente la stessa che corre tra i protagonisti de La città incantata, de La principessa Mononoke, di Porco Rosso, per limitarci agli esempi più ovvi: anche loro, infatti, si trovano in una realtà in cui possono solo amarsi a distanza, o perché appartengono a due mondi diversi, o perché sono divisi da una guerra o da altre forze esterne; possono solamente sfiorarsi per un momento, niente di più. Ma è il sentimento di fondo di queste storie che è completamente diverso da quello di The Wind Rises. In esse, l'amore fra i protagonisti (che non ha nulla a che vedere con la passione, il desiderio, il possesso che nel nostro vocabolario si usa associare a quel termine) è un sentimento talmente intenso che la distanza da cui sono separati non viene assolutamente avvertita in modo doloroso, né dallo spettatore del film né dai personaggi stessi: quello che sembra legarli assieme, infatti, non è il desiderio di stare l'uno con l'altro, ma il desiderio di essere sostegno l'uno per l'altro. Una patina di leggerezza avvolge quei film dall'inizio alla fine, ammortizzando perfettamente qualunque vera e propria percezione del dolore. The Wind Rises ripropone questa stessa storia miyazakiana calandola però, questa volta, nel mondo reale, per giunta rappresentato, e non a caso, con un realismo che risulterebbe fin troppo meticoloso anche per un film non d'animazione. In questo modo ne rivela l'altra faccia: l'aspetto triste, persino tragico. Questa volta, la lontananza della persona amata viene raccontata in modo sofferto. Nel film, che si svolge tutto dal punto di vista di Horikoshi, la presenza di Naoko sembra la sola cosa in grado di restituire bellezza al mondo; quando lei è assente, questo sembra un luogo cupo e triste. Con fatica Horikoshi e Naoko riescono a farsi strada fra gli ostacoli che si pongono in mezzo a loro e ad allacciare le loro vite; ma la loro felicità non dura più di un attimo: a separare i loro destini, nuovamente e per sempre, sarà la morte. Dopodiché, quel che rimane a Horikoshi è un futuro che non sembra promettere che guerra, distruzione (il film si chiude poco prima che la Seconda Guerra mondiale inizi) e solitudine.

The Wind Rises, nonostante la consueta leggerezza miyazakiana nei disegni, nei colori, nelle musiche, è un film che lascia la morte nel cuore. È l'opera in cui Miyazaki s'è scoperto di più: questa volta si è meno preoccupato di raccontare una storia che di parlare in maniera più diretta dei contenuti che lo premono. Quel che ne esce è una visione dell'uomo estremamente fragile, sempre in balia di forze più grandi di lui. In un mondo che è essenzialmente lotta per la sopravvivenza, in cui non vi sono valori universali di riferimento o cause giuste per cui combattere, unica speranza fra individui è cercarsi, aiutarsi, sorreggersi a vicenda; sono queste briciole di umanità la sola cosa che possono dare un senso a tutto. Ancora una volta, questo è lo stesso discorso che Miyazaki ci ha fatto negli altri film: si parla della stessa fragilità di Chihiro e Aku, intrappolati nel mondo avido e meschino dello stabilimento termale della maga Yubaba, o di Mononoke e Ashitaka, divisi da una guerra irrisolvibile e priva di logica. The Wind Rises raccoglie tutto questo e ne fa un riepilogo finale e definitivo, con un accento più amaro e pessimista di fondo. In questo senso mette in nuova luce gli altri film di Miyazaki, rivelandone tutta un'impalpabile tristezza nascosta. C'è caso che, dopo averlo visto, nemmeno Totoro e Ponyo ci sembreranno più creature così semplici e innocenti come prima.

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