UNA DEA DA COMPRARE
Su La Dea del ’67 (2000, di Clara Law)
di LUCILLA MININNO
Dov’è Dio
nel mondo desolato e disabitato descritto da Clara Law? E dov’è Dio nella terra
disperata e affamata che Pasolini guarda dalla luna? È proprio lui a lasciarci
con una didascalia stampata a chiare lettere al posto del più usuale e noto Fine: «Essere morti o essere vivi è la
stessa cosa». E questa è proprio la sensazione che tocca il cuore mentre si
accompagna il protagonista, Jim, a cercare la sua Dea del ’67 (per l’esattezza
una Citroën DS del '67. DS si pronuncia in francese come déesse, dea…), dal Giappone verso un luogo
che potrebbe essere l’Australia così come un qualunque altro posto della terra.
Un mondo che pare non avere confini, che si confonde con il biblico cielo, un
mondo umano, disumano e sovraumano nello stesso tempo. Un mondo dove la carne
si confonde con l’aria, un’aria ferita e sanguinante. Un mondo animale, dove i
pochi abitanti, nel loro aspetto e nei loro modi, citano continuamente alcuni
capisaldi biblici: dal rosso della mela che permea il capo della protagonista,
alla testa macchiata di verde del nostro Dio che viaggia nella sua
terra-giardino con le sembianze di un serpente. Un mondo alla Gilliam, un mondo
capovolto, un mondo dai colori acidi che forse è per i vivi o forse è per i
morti. Un mondo abbandonato, disabitato, pregno di terra e di odori, di ombre e
di anime che vagano raminghe. Un mondo che potrebbe essere quello futuro,
quello ipoteticamente distrutto in cui i nostri più lontani figli viaggiano
verso la disintegrazione dell’Uomo, o quello iconico e originario, quello che
ha fatto da culla ai nostri primissimi antenati. Un mondo che è nello stesso
tempo cielo e fango, origine e fine, un mondo che nel suo silenzio parla più
che mai di Dio e dell’Uomo, della loro eterna lotta, di quella lotta che li
lega e li confonde. Cos’è l’Uomo? E cos’è Dio? Chi è l’Uomo? E chi è Dio? La
lotta è con le sue ombre e il suo silenzio assordante. Dio potrebbe essere
ovunque. Il confine tra l’Uomo e il Dio delle assenze e dei silenzi, delle
ombre, è così inesistente nel dipinto della Law che «Essere morti o essere vivi
è la stessa cosa». E così succede che nel finale pasoliniano la protagonista
Assurdina muore ma in virtù di ciò diventa anzi più presente e necessaria che
mai per chi la circonda. La donna entra in una condizione da aldilà che in
teoria dovrebbe renderla più vicina al Dio tanto immaginato e atteso, ma che
nei fatti la fa diventare più di carne che mai. La vita non cambia. L’aldilà e
l’aldiquà diventano la stessa, misera, cosa. L’abito divino e celeste non è né
più né meno di quello verde di uno dei tanti angeli del focolare di un
qualunque posto del mondo. Dio e l’Uomo diventano la stessa cosa, la stessa
miseria, la stessa disperazione. E così succede ancora che nel mondo acido
descritto dalla Law un uomo possa inviare un messaggio nella rete e chiedere,
con un qualunque annuncio, se qualcuno ha quello che lui cerca: una Dea, ossia
una macchina rossa che vola sull’asfalto e di cui non esistono più esemplari. E
non potrebbe essere lui Dio? Un Dio giapponese, che vive tra le ombre di una
profonda foschia blu, tra treni che corrono sopra la città, un Dio che ha fatto
della sua casa il giardino per mucchi di serpenti che lui stesso nutre ogni
giorno con una paterna cura maniacale, ma che, sempre per la stessa paterna
cura maniacale, continua a tenere intrappolati in teche claustrofobiche. Un Dio
fragile e impotente, che cerca qualcosa da avere al suo fianco, qualcosa che
abbia il sapore di femmina. Un Dio che ci ricorda così la creatura del dottor
Frankenstein nell’opera della Shelley: una creatura messa in vita da pezzi di
cadavere e che chiede al suo padre creatore, ossia ad uno studente di medicina,
una creatura dell’altro sesso. Un Dio disperato, in sostanza un uomo che, pur
di avere ciò che vuole, compie una truffa di un certo rilievo, mette insieme i
soldi e va a prendersi ciò che ha trovato dall’altra parte del mondo: la sua
Dea rossa e francese, una delle poche rimaste, forse l’unica, tra i resti di un
mondo in frantumi. E così Dio riemerge dalle ombre e la foschia del blu che lo
circonda e ricompare tra i colori acidi, tra quegli omicidi ed eterne violenze
di cui la terra sanguina, di cui è rimasto e rimane continuamente l’odore.
Inizia il suo viaggio sulla sua Dea che si solleva una volta accesa e procede
così con un passo che ha più l’aria di un volo leggero che quello di una
marcia. E inizia nello stesso istante il suo viaggio al fianco di GB, una donna
dai capelli rossi, una donna cieca, che ci ricorda nella sua assenza visiva il
silenzio della protagonista-angelo pasoliniana. GB gli consegnerà l’auto solo
dopo aver raggiunto il suo atavico obiettivo: uccidere il suo padre
creatore-stupratore colpevole di averla messa al mondo per poi massacrarle la
vita. E non potrebbe essere ancora lei, con la sua voce muta, il vero eco del
celebre Cristo martoriato dai suoi fratelli e da quel suo stesso padre che l’ha
condannato alla vita? Non potrebbe essere l’uomo che lei cerca, ossia quel
padre che troverà nascosto sotto la terra, tra l’umido e i topi morti, senza
una ragione apparente e in un delirio mentale, il Dio tanto atteso? Non è stato
proprio lui a generarla arbitrariamente per poi incatenarla al mistero
dell’esistenza, abbandonandola nel non senso come Dio ha fatto con i nostri
biblici antenati? Come ha fatto ancora con colui che diventerà il celeberrimo
Satana? Non potremmo rivolgere a lui la domanda senza risposta che ritroviamo
nel Paradiso Perduto di Milton: «Chiuso dentro la mia creta, t’ho forse chiesto
io fattore di diventare uomo? T’ho forse chiesto io di suscitarmi dalle
tenebre?». Non potrebbero essere rivolti a lui i dubbi che la creatura del
dottor Frankenstein rivolge appunto al suo fragile padre creatore? O non
potrebbe essere ancora lei stessa, la nostra GB, infine, il nostro Dio cieco e
impotente, così come muta e impotente è Assurdina nell’opera pasoliniana? Lei
che, se pur cieca, guida la sua macchina da sola. Lei che, se pur cieca,
conosce ogni spostamento di chi le è intorno. Lei che compare e scompare come
nulla fosse. Lei cieca forse per aver troppo visto. In La dea del ‘67 Dio è ovunque, tra gli angoli
della miseria umana, tra chiese dimenticate e intrappolate tra rami selvaggi,
frutti di radici esplose che hanno invaso gli altari, tra pezzi di cadavere su
cui poggiamo continuamente i nostri piedi, tra ricordi annebbiati di una
felicità che, se mai è esistita, come qualcuno ci ha detto, si è persa ad un
certo punto chissà dove, chissà quando… Dio è la miseria stessa della condizione
umana e in quanto tale non si può uccidere… in quanto tale non dona felicità…
L’obiettivo della nostra protagonista GB si frantuma senza alcun esito… Resta
solo il suo buio che, come il silenzio di Assurdina, continuerà ad affondare in
un drammatico non senso…