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KRISTOF KIESLOWSKI

LA VOLONTÀ BIANCA

di LAURA ZARDI

 

Tre colori: Film blu, Film bianco, Film rosso; tre opere che analizzano la condizione umana da un'angolazione particolare, prendendo come riferimento tre parole chiave: liberté, égalité, fraternité. L'opera di Kieślowski rivede questi concetti in una nuova veste; lui stesso dichiara: "Perché non provare a fare un film dove i comandamenti del film Decalogo fossero compresi in un contesto più ampio? Perché non provare a vedere […] che senso hanno oggi le parole libertà, uguaglianza e fratellanza su un piano molto umano, intimo e personale e non su un piano filosofico, né tantomeno politico o sociale? L'Occidente ha affrontato questi tre concetti su un piano politico e sociale, ma su quello personale è una cosa completamente diversa. Ecco il motivo per cui abbiamo pensato di realizzare questi tre film". [1]

Film bianco, l' Uguaglianza, è forse il film più ambiguo della trilogia di Kieslowski e quello meno apprezzato dalla critica. Qual è l'uguaglianza a cui vuol far riferimento il regista? La vendetta di un uomo che restituisce punto per punto alla sua compagna le umiliazioni di cui lei lo ha fatto oggetto, oppure la conquista di una parità tra due esseri che vuol dire guardare l'altro con uno sguardo che lo comprenda e non lo confini entro gli schemi dello stereotipo?

Il film ci mostra un percorso che da una condizione di disperazione totale porta Karol, il protagonista, alla riconquista di una sicurezza e all'attivazione di una volontà propria che gli permette di essere arbitro del suo destino e non succube degli eventi; questo cammino passa attraverso alterne vicende, a tratti drammatiche, e la volontà riconquistata non sarà volta alla realizzazione di una "potenza" fine a se stessa ma al superamento di un'impotenza che metteva in forse la sua possibilità di esistere.

Con un ritmo lento, a tratti vivace, il regista segue il suo personaggio e ci mostra, attraverso i lineamenti del volto e i movimenti, l'evoluzione dei suoi stati d'animo nel passaggio dall'insicurezza iniziale al consolidamento della sua volontà di agire. Gli altri due protagonisti fanno da contraltare alla sensibilità emotiva di Karol: l'impassibile Mikolaj, la cui indifferenza nei confronti della vita si colora di sprazzi di umanità solo nell'ambito di una solidarietà tutta maschile, e l'ambigua Dominique, dal volto di madonnina che sa assumere le sembianze implacabili e spietate del mito che incarna il desiderio femminile.

 

Narrare la vita

 

Kieslowski è un esploratore di stati d’animo, un attento scrutatore di tutte le varianti e le sfumature che caratterizzano il sentimento nelle varie forme in cui esso si esprime. La sua oculata indagine sugli stati emotivi e su certi nodi caratteristici dell’esistenza parte probabilmente da una ricerca su di sé, se è vero ciò che lui stesso dichiara: “Cerco di convincere i giovani colleghi ai quali insegno regia o sceneggiatura a esaminare le loro singole vite, non tanto per scrivere un libro o una sceneggiatura ma per loro stessi. […]

Gli anni durante i quali non lavori su te stesso, sono anni sprecati. Puoi sentire o capire qualcosa intuitivamente e, di conseguenza, i risultati sono casuali. Solo facendo questo lavoro riesci a trovare una certa relazione fra gli eventi e i loro effetti. […] Senza un’analisi autentica, completa e spietata, non si riesce a raccontare una storia. Se non si comprende la propria vita, penso non si riesca a capire quella dei personaggi delle nostre storie e neppure quella delle altre persone. I filosofi come gli assistenti sociali sanno che è così, ma anche gli artisti dovrebbero saperlo, almeno quelli che raccontano delle storie. Forse ai musicisti non occorre una simile analisi anche se io credo che i compositori dovrebbero farla. Anche ai pittori forse non serve, ma è assolutamente necessaria a tutti quelli che raccontano storie sulla vita: la comprensione autentica della loro stessa vita”. [2]

Anche in Film bianco, il narratore Kieslowski ci mostra i risultati di questa sua indagine accurata sugli stati emotivi; nelle sue storie gli eventi sono spesso pretesti per rivelare ciò che sta “dentro” i personaggi, per fornirci un quadro spietato della loro condizione interiore. I dettagli, i particolari, le piccole sfumature espressive, le particolari conformazioni di un gesto, sono più che mai indizi che rivelano ciò che va oltre la rappresentazione. Il passo di Karol, che non alza i piedi ma li trascina, inquadrato nell’incipit del film ci dice già che è un essere insicuro, esitante di fronte ai fatti della vita, incerto nel far fronte agli eventi in cui si trova coinvolto. Tutto questo viene confermato dal suo atteggiamento in tribunale. Il suo sguardo ingenuo e incantato intento ad ammirare il volo libero dei piccioni sulla gradinata del palazzo di giustizia si incrina quando gli escrementi dei volatili cadono sul suo soprabito; il lato sporco dell’esistere, quell’aspetto più corporale e “basso” che si contrappone alla bellezza del volo e che è altrettanto essenziale alla vita, lo imbarazza in modo quasi doloroso, come fosse un’offesa alla sua ingenua fiducia nel mondo. Con lo stesso sguardo incantato egli guarda alla bellezza quasi angelica della moglie, ma il desiderio così istintuale e felino che caratterizza l’approccio di lei alla sessualità probabilmente lo spaventa, favorendo la sua impotenza, la sua incapacità di corrisponderle. Nella bianca testa di donna che si porta dietro fuggendo, il desiderio è congelato nella freddezza della statua, l’oggetto si presta a un sogno di purezza esente da contaminazioni. Per il momento è l’unica compagna che egli si possa permettere.

Il battito d’ali dei piccioni pervade la visione ricorrente del giorno del matrimonio: le immagini prese da angolazioni curiose, il velo, la sposa in bianco, il suo volto, il sorriso, gli amici festanti, e il bacio. Un sogno a senso unico che si è bloccato al suo esordio trasformandosi in immagine ossessiva. L'impotenza sessuale di Karol è iniziata infatti col matrimonio. Il fruscio delle ali sarà il rumore di fondo che accompagnerà i momenti cruciali dell’avventura di Karol, in cui egli dovrà affrontare le prove per andare oltre la sua esitazione, per conquistare una “potenza” che gli permetta di guardare la vita in tutti i suoi aspetti; anche quell’aspetto della carne che vive proprio grazie agli escrementi ed è destinato a putrefarsi nella morte. Ed è proprio la morte il filo conduttore che lega le sorti dei vari personaggi; forse non a caso l’enorme valigia, che rischia di trasformarsi in una bara per Karol, apre il film con un primo piano di sé, per anticipare il tema di fondo dell’opera. Anche se il regista in un‘intervista ha dichiarato di aver usato questa sequenza solo come espediente per incuriosire gli spettatori.

 

L’incontro e il riscatto

 

Il riscatto di Karol, almeno sul piano materiale, inizia in fondo nell’attimo in cui pretende il rimborso della moneta; per la prima volta egli si mostra aggressivo nella difesa di un suo diritto. Ma l’evento decisivo è l’incontro con Mikolaj in un momento in cui entrambi sono disperati per motivi opposti: il primo non ha più nulla, l’altro ha tutto ma è vittima di uno stato depressivo. La loro amicizia nasce in fondo da una mutua e vicendevole comprensione della disperazione dell’altro. Ognuno darà all’altro un’opportunità per cominciare a risalire l’abisso, per entrambi sarà una sorta di passaggio attraverso la morte che determinerà il cambiamento: una morte solo sfiorata ma che per un attimo ha imposto la sua presenza, nel viaggio dentro la valigia-bara per Karol e nel momento in cui viene sparato il colpo a salve per Mikolaj.

In seguito Karol rimane in attesa di un’occasione che gli permetta di compiere un balzo in avanti; esercitare il suo mestiere di parrucchiere, anche se molto richiesto, non gli basta a uscire dallo stato di prostrazione in cui è caduto, gli occorre uno stimolo più forte che gli permetta di mettersi alla prova, di sperimentare modi di agire per lui inusuali La sua ascesa si compie nell’ambito di un capitalismo selvaggio che opera nell’ambiente degradato della Polonia del tempo; con un po’ di fortuna e una buona dose di colpo d’occhio, anche chi è ai margini può avere qualche possibilità di emergere. Molti critici hanno visto in questo un’allusione alla condizione dei paesi dell’Est, afflitti da una povertà strutturale che il regime comunista ha per molto tempo tentato di occultare, e che Kieslowski ha invece spesso denunciato nei suoi documentari. In questo contesto speculatori disonesti imitano i grandi magnati dell’Occidente tentando di costruire piccoli imperi sfruttando il degrado e l’ignoranza della popolazione.

La scommessa di Karol è quella di farcela senza immischiarsi nel gioco malavitoso, senza entrare nel giro; con uno stratagemma, mette al sicuro la propria incolumità e riesce a imbrogliare i piccoli pescecani rampanti. Sembra comunque che Karol non faccia tutto questo per “interesse”, anzi c’è in fondo una specie di noncuranza nel modo di affrontare la costruzione della sua fortuna finanziaria, quasi fosse, come si è già detto, solo un mettersi alla prova, l’unica cosa che lo esalta veramente è il fatto di raggiungere i vari obiettivi che via via si prefigura. Non si lascia conquistare dal fascino della ricchezza, se alla fine sacrifica tutto per realizzare quello che è il suo vero obiettivo: pareggiare i conti con la ex-moglie, restituirle con la medesima fredda determinazione il male che gli ha fatto.

 

Morire per rinascere

 

Dopo il riscatto materiale, che gli ha restituito la fiducia nella potenza della sua volontà, Karol deve affrontare ancora un passaggio definitivo verso l’autonomia; e questo avviene con la visione del cadavere martoriato che deve prendere il suo posto nella bara; in quel caso egli accetta di “guardare”, getta nella bara la moneta che egli ha conservato fino a quel momento, quasi volesse seppellire insieme a quell’estraneo, un se stesso precedente, per poter rinascere come individuo capace di accettare gli aspetti contradditori della vita, la poesia del sentimento e la cruda realtà dell’istinto, la bellezza della vita con la consapevolezza che esiste l’orrore della morte.

Il rapporto tra Karol e Dominique è connotato sin dall’inizio dal fatto di parlare due lingue differenti: questo fatto, che viene sottolineato nella scena iniziale del tribunale, diventa la metafora del loro diverso modo di vivere l’amore che è alla base del fraintendimento che distrugge il loro rapporto. Dominique concepisce il rapporto come soddisfacimento sessuale e vive l’impotenza di Karol come un rifiuto, come la negazione del suo desiderio, che la porta a detestarlo al punto da ridurlo alla disperazione. Vediamo subito nel personaggio di Dominique la crudeltà e la cattiveria, perché siamo abituati ad attribuire alla donna la dolcezza, l’accoglienza, la propensione verso il sentimento, mentre il “femminile” è un contenitore dove possiamo trovare anche altro. Dominique incarna un aspetto del femminile che di solito viene eluso, viene negato; la tredicesima fata nella fiaba della Bella addormentata non viene invitata alla nascita della principessa e quindi scatena le sue forze negative.

Da questo punto di vista Dominique potrebbe essere solo una donna che si sente rifiutata e reagisce di conseguenza, oppure l’incarnazione di una divinità che presiede a un aspetto viscerale e quasi animalesco del femminile, in cui prevale il desiderio, la tensione al piacere. Solo nel finale riacquista il suo aspetto più umano: la dolcezza, che siamo abituati a considerare l’unico attributo del femminile. In una intervista sul suo lavoro con Kieślowski, Julie Delpy, l’attrice che interpreta il ruolo di Dominique, dice di aver fatto fatica a identificarsi con un personaggio molto diverso da ciò che lei è, che una delle indicazioni del regista su come far vivere il personaggio era di avere delle movenze feline. Per girare la scena del tentativo di rapporto sessuale nel negozio il regista le ha chiesto a cosa tutto ciò le facesse pensare e lei ha ricordato una gatta che aveva da bambina, che era sempre in calore. Ecco, il suo modello doveva essere la gatta. Quando Dominique saluta Karol dopo avergli lasciato la valigia, lo fa in un modo particolare, con la mano alzata e le punte delle dita ripiegate all’interno come artigli; il regista ha insistito molto per avere questo particolare saluto che sa, appunto, di graffio.

Dopo l’ultimo incontro sessuale finalmente riuscito, Dominique chiede a Karol: “Non mi vuoi guardare?” Un’ultima provocante offerta oppure l'allusione a un modo “diverso” di guardarla? La sua avventura lo ha portato a guardare in diverse occasioni la morte in faccia. La sua incapacità di sostenere il rapporto è superata forse perché ora può guardare la donna nella sua “interezza”, non è più terrorizzato da quella parte istintuale che spaventa perché non contemplata nello stereotipo della “sposa”. Non dimentichiamo che il problema si è manifestato dopo il matrimonio. Da questo punto di vista allora possiamo vedere l'impotenza di Karol come impossibilità di accettare della donna l’aspetto più viscerale e profondo che si risolve con la riflessione sulla dinamica vita-morte. La sospensione del rifiuto permette a Dominique di recuperare la dolcezza, di andare oltre la vendetta per riconquistare il sentimento, e anche Karol, di fronte al suo volto dietro le sbarre che gli promette di nuovo un futuro insieme, capisce che l’amore è ancora possibile. Il viaggio attraverso il dolore, la disperazione, le prove, il riscatto, è stato indispensabile per conquistare l’uguaglianza, che non significa essere simili ma essere in grado di comunicare. Finalmente l’uomo e la donna parlano la stessa lingua.

Il film ha una sua struttura che potremmo considerare conchiusa con l'arresto di Dominique. La sequenza finale che pone i due protagonisti l'uno di fronte all'altro divisi dalle sbarre può sembrare slegata dal resto del film, aggiunta in un secondo momento, quasi fosse un ripensamento del regista. Il recupero del sentimento, un sentimento vero, che è il risultato di una conquista e non una finzione inserita in un ruolo prefissato, può essere, anche nella vita, solo un'opzione in più, che non sempre si realizza; il risultato di una combinazione casuale di elementi, o il contrario di ciò che ci si aspetta. Il lieto fine non è scontato anzi nasce da una situazione in cui ci si aspetterebbe tutt'altro. Forse la vera innovazione di Kieslowski sta nel narrare la vita e l'esperienza umana mostrandone le sue possibilità celate e i suoi risvolti inediti, come il colpo di pistola a salve che "salva" la vita a Mikolaj.

 



[1] Danusia Stok (a cura di), Kieslowski racconta Kieslowski, Il Castoro, Milano 1998, pag. 217.

[2] Ibidem, pag. 53.

 

 

 
 

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