Tre
colori: Film blu, Film bianco, Film
rosso; tre opere
che analizzano la condizione umana da un'angolazione particolare, prendendo
come riferimento tre parole chiave: liberté, égalité, fraternité. L'opera di
Kieślowski rivede questi concetti in una nuova veste; lui stesso dichiara:
"Perché non provare a fare un film dove i comandamenti del film Decalogo
fossero compresi in un contesto più ampio? Perché non provare a vedere […] che
senso hanno oggi le parole libertà, uguaglianza e fratellanza su un piano molto
umano, intimo e personale e non su un piano filosofico, né tantomeno politico o
sociale? L'Occidente ha affrontato questi tre concetti su un piano politico e
sociale, ma su quello personale è una cosa completamente diversa. Ecco il
motivo per cui abbiamo pensato di realizzare questi tre film".
Film
bianco, l'
Uguaglianza, è forse il film più ambiguo della trilogia di Kieslowski e quello
meno apprezzato dalla critica. Qual è l'uguaglianza a cui vuol far riferimento
il regista? La vendetta di un uomo che restituisce punto per punto alla sua
compagna le umiliazioni di cui lei lo ha fatto oggetto, oppure la conquista di
una parità tra due esseri che vuol dire guardare l'altro con uno sguardo che lo
comprenda e non lo confini entro gli schemi dello stereotipo?
Il
film ci mostra un percorso che da una condizione di disperazione totale porta
Karol, il protagonista, alla riconquista di una sicurezza e all'attivazione di
una volontà propria che gli permette di essere arbitro del suo destino e non
succube degli eventi; questo cammino passa attraverso alterne vicende, a tratti
drammatiche, e la volontà riconquistata non sarà volta alla realizzazione di
una "potenza" fine a se stessa ma al superamento di un'impotenza che
metteva in forse la sua possibilità di esistere.
Con un
ritmo lento, a tratti vivace, il regista segue il suo personaggio e ci mostra,
attraverso i lineamenti del volto e i movimenti, l'evoluzione dei suoi stati
d'animo nel passaggio dall'insicurezza iniziale al consolidamento della sua
volontà di agire. Gli altri due protagonisti fanno da contraltare alla
sensibilità emotiva di Karol: l'impassibile Mikolaj, la cui indifferenza nei
confronti della vita si colora di sprazzi di umanità solo nell'ambito di una solidarietà
tutta maschile, e l'ambigua Dominique, dal volto di madonnina che sa assumere
le sembianze implacabili e spietate del mito che incarna il desiderio
femminile.
Narrare la vita
Kieslowski
è un esploratore di stati d’animo, un attento scrutatore di tutte le varianti e
le sfumature che caratterizzano il sentimento nelle varie forme in cui esso si
esprime. La sua oculata indagine sugli stati emotivi e su certi nodi
caratteristici dell’esistenza parte probabilmente da una ricerca su di sé, se è
vero ciò che lui stesso dichiara: “Cerco di convincere i giovani colleghi ai
quali insegno regia o sceneggiatura a esaminare le loro singole vite, non tanto
per scrivere un libro o una sceneggiatura ma per loro stessi. […]
Gli anni
durante i quali non lavori su te stesso, sono anni sprecati. Puoi sentire o
capire qualcosa intuitivamente e, di conseguenza, i risultati sono casuali.
Solo facendo questo lavoro riesci a trovare una certa relazione fra gli eventi
e i loro effetti. […] Senza un’analisi autentica, completa e spietata, non si
riesce a raccontare una storia. Se non si comprende la propria vita, penso non
si riesca a capire quella dei personaggi delle nostre storie e neppure quella
delle altre persone. I filosofi come gli assistenti sociali sanno che è così,
ma anche gli artisti dovrebbero saperlo, almeno quelli che raccontano delle
storie. Forse ai musicisti non occorre una simile analisi anche se io credo che
i compositori dovrebbero farla. Anche ai pittori forse non serve, ma è
assolutamente necessaria a tutti quelli che raccontano storie sulla vita: la
comprensione autentica della loro stessa vita”.
Anche in Film
bianco, il
narratore Kieslowski ci mostra i risultati di questa sua indagine accurata
sugli stati emotivi; nelle sue storie gli eventi sono spesso pretesti per
rivelare ciò che sta “dentro” i personaggi, per fornirci un quadro spietato
della loro condizione interiore. I dettagli, i particolari, le piccole
sfumature espressive, le particolari conformazioni di un gesto, sono più che
mai indizi che rivelano ciò che va oltre la rappresentazione. Il passo di
Karol, che non alza i piedi ma li trascina, inquadrato nell’incipit del film ci
dice già che è un essere insicuro, esitante di fronte ai fatti della vita,
incerto nel far fronte agli eventi in cui si trova coinvolto. Tutto questo
viene confermato dal suo atteggiamento in tribunale. Il suo sguardo ingenuo e
incantato intento ad ammirare il volo libero dei piccioni sulla gradinata del
palazzo di giustizia si incrina quando gli escrementi dei volatili cadono sul
suo soprabito; il lato sporco dell’esistere, quell’aspetto più corporale e
“basso” che si contrappone alla bellezza del volo e che è altrettanto
essenziale alla vita, lo imbarazza in modo quasi doloroso, come fosse un’offesa
alla sua ingenua fiducia nel mondo. Con lo stesso sguardo incantato egli guarda
alla bellezza quasi angelica della moglie, ma il desiderio così istintuale e
felino che caratterizza l’approccio di lei alla sessualità probabilmente lo
spaventa, favorendo la sua impotenza, la sua incapacità di corrisponderle.
Nella bianca testa di donna che si porta dietro fuggendo, il desiderio è
congelato nella freddezza della statua, l’oggetto si presta a un sogno di
purezza esente da contaminazioni. Per il momento è l’unica compagna che egli si
possa permettere.
Il
battito d’ali dei piccioni pervade la visione ricorrente del giorno del
matrimonio: le immagini prese da angolazioni curiose, il velo, la sposa in
bianco, il suo volto, il sorriso, gli amici festanti, e il bacio. Un sogno a
senso unico che si è bloccato al suo esordio trasformandosi in immagine
ossessiva. L'impotenza sessuale di Karol è iniziata infatti col matrimonio. Il
fruscio delle ali sarà il rumore di fondo che accompagnerà i momenti cruciali
dell’avventura di Karol, in cui egli dovrà affrontare le prove per andare oltre
la sua esitazione, per conquistare una “potenza” che gli permetta di guardare
la vita in tutti i suoi aspetti; anche quell’aspetto della carne che vive
proprio grazie agli escrementi ed è destinato a putrefarsi nella morte. Ed è
proprio la morte il filo conduttore che lega le sorti dei vari personaggi;
forse non a caso l’enorme valigia, che rischia di trasformarsi in una bara per
Karol, apre il film con un primo piano di sé, per anticipare il tema di fondo
dell’opera. Anche se il regista in un‘intervista ha dichiarato di aver usato
questa sequenza solo come espediente per incuriosire gli spettatori.
L’incontro e il riscatto
Il
riscatto di Karol, almeno sul piano materiale, inizia in fondo nell’attimo in
cui pretende il rimborso della moneta; per la prima volta egli si mostra
aggressivo nella difesa di un suo diritto. Ma l’evento decisivo è l’incontro
con Mikolaj in un momento in cui entrambi sono disperati per motivi opposti: il
primo non ha più nulla, l’altro ha tutto ma è vittima di uno stato depressivo.
La loro amicizia nasce in fondo da una mutua e vicendevole comprensione della
disperazione dell’altro. Ognuno darà all’altro un’opportunità per cominciare a
risalire l’abisso, per entrambi sarà una sorta di passaggio attraverso la morte
che determinerà il cambiamento: una morte solo sfiorata ma che per un attimo ha
imposto la sua presenza, nel viaggio dentro la valigia-bara per Karol e nel
momento in cui viene sparato il colpo a salve per Mikolaj.
In
seguito Karol rimane in attesa di un’occasione che gli permetta di compiere un
balzo in avanti; esercitare il suo mestiere di parrucchiere, anche se molto
richiesto, non gli basta a uscire dallo stato di prostrazione in cui è caduto,
gli occorre uno stimolo più forte che gli permetta di mettersi alla prova, di
sperimentare modi di agire per lui inusuali La sua ascesa si compie nell’ambito
di un capitalismo selvaggio che opera nell’ambiente degradato della Polonia del
tempo; con un po’ di fortuna e una buona dose di colpo d’occhio, anche chi è ai
margini può avere qualche possibilità di emergere. Molti critici hanno visto in
questo un’allusione alla condizione dei paesi dell’Est, afflitti da una povertà
strutturale che il regime comunista ha per molto tempo tentato di occultare, e
che Kieslowski ha invece spesso denunciato nei suoi documentari. In questo
contesto speculatori disonesti imitano i grandi magnati dell’Occidente tentando
di costruire piccoli imperi sfruttando il degrado e l’ignoranza della
popolazione.
La scommessa
di Karol è quella di farcela senza immischiarsi nel gioco malavitoso, senza
entrare nel giro; con uno stratagemma, mette al sicuro la propria incolumità e
riesce a imbrogliare i piccoli pescecani rampanti. Sembra comunque che Karol
non faccia tutto questo per “interesse”, anzi c’è in fondo una specie di
noncuranza nel modo di affrontare la costruzione della sua fortuna finanziaria,
quasi fosse, come si è già detto, solo un mettersi alla prova, l’unica cosa che
lo esalta veramente è il fatto di raggiungere i vari obiettivi che via via si
prefigura. Non si lascia conquistare dal fascino della ricchezza, se alla fine
sacrifica tutto per realizzare quello che è il suo vero obiettivo: pareggiare i
conti con la ex-moglie, restituirle con la medesima fredda determinazione il
male che gli ha fatto.
Morire per rinascere
Dopo il
riscatto materiale, che gli ha restituito la fiducia nella potenza della sua
volontà, Karol deve affrontare ancora un passaggio definitivo verso
l’autonomia; e questo avviene con la visione del cadavere martoriato che deve
prendere il suo posto nella bara; in quel caso egli accetta di “guardare”,
getta nella bara la moneta che egli ha conservato fino a quel momento, quasi
volesse seppellire insieme a quell’estraneo, un se stesso precedente, per poter
rinascere come individuo capace di accettare gli aspetti contradditori della
vita, la poesia del sentimento e la cruda realtà dell’istinto, la bellezza
della vita con la consapevolezza che esiste l’orrore della morte.
Il
rapporto tra Karol e Dominique è connotato sin dall’inizio dal fatto di parlare
due lingue differenti: questo fatto, che viene sottolineato nella scena
iniziale del tribunale, diventa la metafora del loro diverso modo di vivere
l’amore che è alla base del fraintendimento che distrugge il loro rapporto.
Dominique concepisce il rapporto come soddisfacimento sessuale e vive
l’impotenza di Karol come un rifiuto, come la negazione del suo desiderio, che
la porta a detestarlo al punto da ridurlo alla disperazione. Vediamo subito nel
personaggio di Dominique la crudeltà e la cattiveria, perché siamo abituati ad
attribuire alla donna la dolcezza, l’accoglienza, la propensione verso il
sentimento, mentre il “femminile” è un contenitore dove possiamo trovare anche
altro. Dominique incarna un aspetto del femminile che di solito viene eluso,
viene negato; la tredicesima fata nella fiaba della Bella addormentata non
viene invitata alla nascita della principessa e quindi scatena le sue forze
negative.
Da questo
punto di vista Dominique potrebbe essere solo una donna che si sente rifiutata
e reagisce di conseguenza, oppure l’incarnazione di una divinità che presiede a
un aspetto viscerale e quasi animalesco del femminile, in cui prevale il
desiderio, la tensione al piacere. Solo nel finale riacquista il suo aspetto
più umano: la dolcezza, che siamo abituati a considerare l’unico attributo del
femminile. In una intervista sul suo lavoro con Kieślowski, Julie Delpy,
l’attrice che interpreta il ruolo di Dominique, dice di aver fatto fatica a identificarsi
con un personaggio molto diverso da ciò che lei è, che una delle indicazioni
del regista su come far vivere il personaggio era di avere delle movenze
feline. Per girare la scena del tentativo di rapporto sessuale nel negozio il
regista le ha chiesto a cosa tutto ciò le facesse pensare e lei ha ricordato
una gatta che aveva da bambina, che era sempre in calore. Ecco, il suo modello
doveva essere la gatta. Quando Dominique saluta Karol dopo avergli lasciato la
valigia, lo fa in un modo particolare, con la mano alzata e le punte delle dita
ripiegate all’interno come artigli; il regista ha insistito molto per avere
questo particolare saluto che sa, appunto, di graffio.
Dopo
l’ultimo incontro sessuale finalmente riuscito, Dominique chiede a Karol: “Non
mi vuoi guardare?” Un’ultima provocante offerta oppure l'allusione a un modo
“diverso” di guardarla? La sua avventura lo ha portato a guardare in diverse
occasioni la morte in faccia. La sua incapacità di sostenere il rapporto è
superata forse perché ora può guardare la donna nella sua “interezza”, non è
più terrorizzato da quella parte istintuale che spaventa perché non contemplata
nello stereotipo della “sposa”. Non dimentichiamo che il problema si è
manifestato dopo il matrimonio. Da questo punto di vista allora possiamo vedere
l'impotenza di Karol come impossibilità di accettare della donna l’aspetto più
viscerale e profondo che si risolve con la riflessione sulla dinamica
vita-morte. La sospensione del rifiuto permette a Dominique di recuperare la dolcezza,
di andare oltre la vendetta per riconquistare il sentimento, e anche Karol, di
fronte al suo volto dietro le sbarre che gli promette di nuovo un futuro
insieme, capisce che l’amore è ancora possibile. Il viaggio attraverso il
dolore, la disperazione, le prove, il riscatto, è stato indispensabile per
conquistare l’uguaglianza, che non significa essere simili ma essere in grado
di comunicare. Finalmente l’uomo e la donna parlano la stessa lingua.
Il film
ha una sua struttura che potremmo considerare conchiusa con l'arresto di
Dominique. La sequenza finale che pone i due protagonisti l'uno di fronte
all'altro divisi dalle sbarre può sembrare slegata dal resto del film, aggiunta
in un secondo momento, quasi fosse un ripensamento del regista. Il recupero del
sentimento, un sentimento vero, che è il risultato di una conquista e non una
finzione inserita in un ruolo prefissato, può essere, anche nella vita, solo
un'opzione in più, che non sempre si realizza; il risultato di una combinazione
casuale di elementi, o il contrario di ciò che ci si aspetta. Il lieto fine non
è scontato anzi nasce da una situazione in cui ci si aspetterebbe tutt'altro.
Forse la vera innovazione di Kieslowski sta nel narrare la vita e l'esperienza
umana mostrandone le sue possibilità celate e i suoi risvolti inediti, come il
colpo di pistola a salve che "salva" la vita a Mikolaj.