INTRO
LA (DIS)MISURA DELLA VOLONTÀ
TRA DOMINAZIONE E DEDIZIONE
di FRANCESCO CATTANEO
Lo speciale che siamo lieti di ripresentare in questa sede
ha una storia su cui conviene brevemente tornare. I testi proposti, infatti,
costituiscono per certi versi gli atti di una rassegna su La
(dis)misura della volontà. Tra dominazione e dedizione, svoltasi a Bologna, presso la sala multimediale della Biblioteca di
Vicolo Bolognetti, da martedì 2 maggio a martedì 30 maggio 2006. La rassegna è
stata promossa e sostenuta dall’Associazione studentesca “Arte ed estetica”,
costituitasi presso l’ateneo bolognese. I testi qui raccolti, tuttavia, non
esauriscono le relazioni tenute nel corso della manifestazione. Oltre alle
analisi di Monsieur Verdoux, Tre colori: Film bianco, Stalker, Dogville e The Addiction –
analisi che costituiscono il contenuto del presente speciale – furono
presentati al pubblico anche Rapporto confidenziale (a cura di Jonny Costantino), Nodo alla gola (a cura di Carlo Gentili) e Aguirre furore di Dio (a cura di Sandro Sproccati).
In ogni caso, è
significativo ricordare l’articolazione originaria per restituire il suo pieno
respiro al percorso disegnato dalla rassegna. Un percorso, com’è evidente,
incardinato intorno a un tema assai ambizioso. Non possono sfuggire, nel titolo
scelto, gli echi nietzschiani. Parlando di volontà, balza subito alla mente un
concetto chiave della filosofia di Nietzsche: la volontà di
potenza (Wille
zur Macht). Ma quest’eco va inteso come si conviene. Il titolo della rassegna,
non a caso, parla sì di volontà, ma non di potenza; in
questo modo viene segnato uno scarto rispetto al dettato nietzschiano. E
d’altra parte ce n’è bisogno: è un modo di far giustizia alla “cosa stessa” di
Nietzsche. Qualora il titolo fosse stato “La (dis)misura della volontà. Tra
potenza e dedizione”, è chiaro che una forma estrema di volontà (la volontà
come potenza) sarebbe stata contrapposta a un’altra (la volontà come dedizione
assoluta, come abnegazione), perpetuando implicitamente un’interpretazione
grossolana e volgare di Nietzsche: quella che lo vede come un apologeta della
sopraffazione, degli istinti predatori e della violenza dominatrice. Così
facendo si ricade nell’uso strumentale e ideologico di Nietzsche attuato
durante il conflitto mondiale del 1915-1918 (quando Così parlò
Zarathustra fu stampato in un’edizione di
guerra da infilare nello zaino di ogni soldato tedesco) e soprattutto durante
il nazismo.
Nella seconda
metà del Novecento, invece, Nietzsche è divenuto soprattutto un problema – un problema per la ricchezza irriducibile e incoercibile del
suo pensiero. La stessa volontà di potenza ha ricevuto le interpretazioni più
varie: da quella di Heidegger, che nel trasformare il concetto in «volontà di
volontà» lo legge come il culmine della parabola della metafisica occidentale,
come il punto d’arrivo dell’oblio dell’essere, per cui «dell’essere non ne è
più nulla», a quella di Horkheimer e Adorno, che hanno visto in Nietzsche
– per la radicalità con cui porta alle estreme conseguenze il criticismo
illuministico – lo smascheratore del mondo borghese; da quella di
Vattimo, che scorge nella volontà di potenza una dissoluzione della
trascendenza metafisica e il punto di partenza delle “avventure della
differenza”, a quella di Cacciari, che ha inteso la volontà di potenza del
Superuomo come una smodata elargizione, come un donare tutto senza nulla
chiedere – quindi, al limite, come una volontà di non-potenza.
Con la seconda
parte del titolo della rassegna si voleva alludere a uno spettro fenomenologico
di possibilità, piuttosto che a un’opzione filosofica compiuta. Si voleva
insomma suggerire che la volontà si dà in molti modi, e con uguale varietà
viene rappresentata e raccontata.
Le suggestioni
filosofiche sono in realtà più stringenti nella prima parte del titolo: La
(dis)misura della
volontà. La questione della rappresentazione delle varianti estreme della volontà implica infatti il paradosso di
dar forma allo smisurato. Come la volontà radicale (se nel modo della
dominazione o dell’abnegazione, non importa) si sottrae alla misura comune, la
sfonda, così la rappresentazione che intende conferirle figura deve
confrontarsi con l’irrappresentabile – con ciò che potenzialmente esula
da ogni configurazione e si ribella a ogni perimetrazione. Nell’intendere
questa dialettica entra in scena – qui sì – Nietzsche, con la sua
coppia oppositoria apollineo/dionisiaco. È Nietzsche che spiega – per
tutto l’arco del suo cammino filosofico, dagli inizi schopenhaueriani della Nascita
della tragedia fino agli aforismi
post-illuministici della Volontà di potenza – che il dionisiaco è strutturalmente connesso all’apollineo e
non può stare senza di esso: vuoi perché, come nel primo Nietzsche, il
principio cieco e abissale dell’essere può essere sopportato solo attraverso la
forma apollinea; vuoi perché, come nel secondo Nietzsche, l’ebbrezza perviene a
un di più di potenza nel momento in cui trova una forma in cui esprimersi,
scaricarsi – altrimenti rimarrebbe un agitarsi scomposto, vano,
disarticolato. Simmetricamente, l’apollineo perde qualcosa quando si scinde dal
dionisiaco, tende a irrigidirsi: e allora vanno smarrite o la potenza tragica
di raffigurazioni capaci di affacciarsi sul precipizio senza sprofondare in
esso; o la forza plastica di un grande stile che dia ordine al caos, che sia in
grado di disciplinarlo e di appropriarsene.
In questo arco
tematico tentano di muoversi i contributi offerti, che si soffermano in
particolare sul paradosso della volontà smisuratamente ordinaria del
protagonista di Monsieur Verdoux, sullo scompaginamento della rappresentazione oggettivante in Stalker, sulle dinamiche volitive nel rapporto tra i sessi in Tre
colori: Film bianco, sulla voluntas come coazione a volere il male in The
Addiction e infine sulla dialettica del
potere in Dogville.