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IL PATER MANCANTE

sui fratelli Dardenne

 

di TERESA LARA PUGLIESE

 

 

Nel suo diario di lavorazione, Au dos de nos images, Luc Dardenne si sorprende a rifare i gesti del padre. Così annota: «Stasera, prima di andare a letto, quando mi sono diretto al portone per chiuderlo a chiave… camminavo come lui, erano i suoi passi, i suoi movimenti delle braccia… A queste cose non si sfugge» [1] .

Confrontandosi con la produzione cinematografica dardenniana, è impossibile sfuggire al tema del pater. «Que celui-ci soit homme ou femme, dans une couple hétérosexuel ou homosexuel, il est […] ambassadeur des autres de la société, de ceux et celles qui ne l’aiment pas infiniment» [2] . Fornendo questa definizione di Padre, i fratelli registi Jean-Pierre e Luc Dardenne si riagganciano alle speculazioni di Jacques Lacan. Secondo il filosofo francese, il Padre è sede della legge articolata. Egli trasmette al figlio la prima norma su cui si fondano storicamente tutte le civiltà: il divieto dell’incesto. Esso non va inteso come sola proibizione di unirsi sessualmente alla madre. L’interdizione dell’incesto in senso lato è un limite al godere incontrollato. Il capofamiglia è colui che pone confini alla sregolatezza dell’erede; costruire tali barriere significa incanalare il Desiderio del discendente in un corso positivo, proficuo.

Analizzando l’elemento paterno nella cinematografia dardenniana, bisogna ragionare su due livelli: extra ed intra filmico. Nel primo caso sono in gioco i registi valloni. Essi vogliono dichiaratamente essere genitori dei personaggi. Veicolare loro la legge significa «non lasciargli fare tutto, non perdonare facilmente i loro eccessi e le loro mancanze» [3] .

Calandosi nelle relazioni affettive interne ai singoli film, invece, si scopre l’assenza del Padre.

In La promesse (1996) ci viene presentato un capofamiglia immigrato: Hamidou. Egli è un genitore disposto al sacrificio, perfino allo sfruttamento pur di garantire un futuro al suo bebè. Egli, tuttavia, è destinato a scomparire atrocemente: l’uomo muore per un incidente sul lavoro. Questo primo Padre diviene improvvisamente mancante. Lo spietato Roger, per non incorrere in problemi giudiziari, non presta alcun soccorso all’immigrato. Preferisce occultarne il corpo con l’aiuto di Igor, suo figlio e complice. Una doccia purificatoria non basta a cancellare il sangue versato. Igor non riconosce più nel genitore una figura a cui ispirarsi. Il giovane «non può più trovare in questo padre diabolico ciò che gli permetterebbe di dire la verità […]. Questo terribile intreccio dovrebbe condurre il figlio a uccidere/mentire come il padre o, meglio ancora, a uccidere suo padre, poiché infondo è questo che desidera il padre diabolico: uccidere il padre» [4] . Il conflitto è inevitabile. Ora che il Figlio non rinviene più nel genitore un motivo di evocazione comincia la lotta. A sperimentala è stato lo stesso Luc Dardenne, che testimonia: «Mio padre. Mi sono scontrato a lungo con lui. Senza tregua» [5] .

L’unica figura che nella pellicola potrebbe rappresentare un papà per Igor è il meccanico da cui svolge l’apprendistato. L’operaio trasmette al giovane le sue conoscenze e cerca di inquadrarlo in un sistema di regole. Ricalcando il modello lacaniano, il lavoratore testimonia il Desiderio (in questo caso per un impiego umile ma onesto), e la Legge (il rispetto dell’orario di lavoro). Igor tuttavia non gli riconosce alcuna autorità, non lo identifica come possibile Padre simbolico. Chiamato da Roger, abbandona per l’ennesima volta l’officina in orario di apertura. Prima che il ragazzo varchi la porta, l’uomo con la tuta blu gli intima: «Se te ne vai adesso non ci metti più piede nella mia officina».

Anche esaminando l’opera successiva dei Dardenne, Rosetta (1999), si scopre un nucleo familiare monco. La madre dell’adolescente soffre di alcolismo; la ragazza rifiuta ogni somiglianza con chi l’ha generata ripetendo alla donna: «Io non sono come te!». Il padre manca. Così Rosetta è obbligata a ricoprire il ruolo di capofamiglia. Le tocca procurare il necessario per sopravvivere, scandendo dettami alla mamma deviata: non bere, non accettare pesci in elemosina, non concedere prestazioni sessuali per una bottiglia di liquore… Per la ragazza è difficile assumere un incarico che non ha potuto emulare da nessuno. Quando finalmente, con l’inganno, riesce ad conquistare un impiego, nel suo datore di lavoro ricerca una figura paterna sostitutiva. Il suo capo è in effetti un genitore che pensa prima ai figli e poi ai dipendenti. A interpretarne la parte è Olivier Gourmet, attore che riveste il ruolo di pater anche nella pellicola seguente: Il figlio (2002).

Qui il falegname Olivier biologicamente non è più padre: anni prima ha perso l’erede, strangolato da un ladro. L’uomo non ha speranza di divenire genitore in futuro, perché la moglie ha già procreato con un altro. La mancanza del babbo affligge anche uno degli allievi di Olivier: Francis. Il giovane non ha idea di dove abiti il suo papà. Nel fine settimana non va neanche a trovare la famiglia perché, come lui stesso asserisce: «Il compagno di mia madre non vuole che la veda».

L’assenza paterna si ritrova più tardi in L’enfant (2005). Il protagonista, Bruno, è un pater che non sente di esserlo. Quando la compagna viene dimessa dall’ospedale dopo il parto, lui risulta irreperibile. Sonia, col lattante fra le braccia, deve telefonare agli amici e affrontare il vento su uno scooter per scovarlo. Il giovanotto è per strada impegnato nell’organizzazione di un borseggio. Quando Sonia gli mostra Jimmy pronunciando: «Guarda, ti assomiglia!», Bruno non lo prende neanche fra le braccia. Il suo neonato è pari a un oggetto. Poco dopo lo scambia con del denaro; inconsciamente, pur avendo dato all’erede il suo cognome, non lo riconosce. Tanto che al poliziotto in borghese dichiara di aver fatto sparire il bambino per vendicarsi. «Perché non è mio» pronuncia.

Nel caso di Il matrimonio di Lorna (2008), il tossico Claudy non sopravvive all’annuncio della sua paternità. Il piccino che sua moglie porta in grembo, vero o immaginario che sia, a poche settimane dal concepimento è già senza babbo. A questa mancanza non può sopperire neanche il fidanzato albanese di Lorna. Questi è troppo interessato ai quattrini per occuparsi della compagna. In partenza per Milano la congeda con un freddo «Ci vediamo».

Anche nell’ultima produzione dei Dardenne, Il ragazzo con la bicicletta (2011), il piccolo Ceryl soffre di carenza paterna. Il genitore biologico, prevedendo che il piccolo risucchi tutte le sue energie, preferisce abbandonarlo. Stesso atteggiamento è adottato dal padre adottivo: il fidanzato di Samantha. Egli, nel timore che il ragazzino assorba tutto l’affetto della donna, pone la partner davanti all’opzione: «O lui o me».

Ceryl auspica un genitore putativo in un ragazzo più grande, Wes. Questi si rivolge al ragazzino chiamandolo Pitbull. L’appellativo, che si rifà a una razza canina particolarmente aggressiva, rivela perché Wes conceda tante attenzioni a Ceryl. Il giovanotto è alla ricerca di un pivello che compia una rapina al suo posto. Ceryl, totalmente disinteressato alla refurtiva, è perfetto. Ma il desiderio trasmesso (il denaro) e la legge implicata (menti alla Madre Samantha) non sono certo quelle di un vero capofamiglia.

La mancanza dei Padri (reali e/o simbolici) all’interno dei film rende i protagonisti tragicamente soli. Senza un esempio positivo di Legge e di Desiderio, i Figli sbagliano, toccano il fondo. Quest’assenza incolmabile riflette la drammatica situazione della società contemporanea. «Strana società, questa, che produce individui che non ci sono, che non ci sono per gli altri, che non ci sono per se stessi, per i quali non c’è nessuno» [6] .

Ma, almeno nella cinematografia belga che abbiamo discusso, una via d’uscita è possibile. Ciò grazie all’incontro con la Madre. Ella può essere «biologique ou non, femme ou homme, jeune ou vielle. L’important est […] donner  à l’enfant un amour absolu» [7] . Questo amore senza limiti consentirà al figlio di «convertir progressivement la peur de mourir en bonheur de vivre, le temps qui le fait être-vers-la mort en temps qui le fait être-vers-la vie» [8] .

 

 

 



[1] Dardenne, Luc, 2008, Au dos de nos images, Paris, Éditions du Seuil, (trad. it. Dietro i nostri occhi, Milano, Isbn edizioni, 2009) p. 46 .

[2] «Che egli sia uomo o donna, in una coppia eterosessuale o omosessuale, egli  […] è ambasciatore degli altri della società, di coloro i quali non l’amano infinitamente» (trad. it. mia), (Dardenne, Luc, 2012, Sur l’affaire humaine, Paris, Éditions du Seuil, p. 80).

[3] Dardenne, Luc, 2008, Au dos de nos images, Paris, Éditions du Seuil, (trad. it. Dietro i nostri occhi, Milano, Isbn edizioni, 2009) p. 22-23.

[4] ivi, p. 103.

[5] ivi, p. 71.

[6] ivi, p.121.

[7] «Biologica o no, donna o uomo, giovane o anziana. L’importante è […] donare al bambino un amore assoluto» (trad. it. mia), Dardenne, Luc, Au dos de nos images, Paris, Éditions du Seuil, (trad. it. Dietro i nostri occhi, Milano, Isbn edizioni, 2009) pp. 106-107.

[8] «Convertire progressivamente la paura di morire in felicità di vivere, il tempo che lo rende essere-verso-la morte in tempo che lo rende essere-verso-la vita. […] Essere un momento l’oggetto di un amore esclusivo e infinito di un altro sarebbe il nostro modo umano di uscire dalla paura e dall’odio» (trad. it. mia), ivi, p. 71.

 

 
 

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