GEOMETRIE DELL'EVOLUZIONE
DA 2001, ODISSEA
NELLO SPAZIO A MELANCHOLIA
Massimiliano Camellini
La prima impressione che danno i due film di
Stanley Kubrick e Lars Von Trier, seppur distanti per stile anni luce, tanto per usare un gergo "planetario", è di una
forte analogia simbolica. Anzitutto entrambi sfiorano l'anti-narratività ma non
vi cedono mai, sviluppano sempre il racconto che, seppur condito di riferimenti
filosofici evidenti e di metafore, si articola secondo una trama, anche se
tagliato trasversalmente da luci, iconografie e simboli apparentemente altri, ad una
sua fine.
In entrambi, la musica ha un ruolo evocativo molto
forte: Così parlò Zarathustra di
Strauss in 2001, odissea nello spazio crea un collegamento con l'opera omonima di Friedrich Nietzsche e la filosofia
dell'oltreuomo,
inneggia all'evoluzione della specie che porta al bambino-stella, angelo o
super-individuo che sia, e che ritorna sulla Terra per iniziare una nuova tappa
del destino umano; il Tristano e Isotta di Wagner, scelto da Lars Von
Trier come ouverture di Melancholia,
è stato avvicinato alla filosofia di Schopenhauer, in quanto esprime per alcuni
interpreti la morte come "liberazione", non come pessimistica
rinuncia e negazione della vita, bensì come simbolo di "unione cosmica".
Il vero protagonista umano dei due film è un bambino: in 2001 appare alla fine avvolto in una sfera magica e cosmica, intesa
quale nuova frontiera dell'evoluzione, con lo sguardo puro e innocente sul
futuro (l'oltreuomo di Nietzsche); in Melancholia è
l'innocenza del figlio di una delle protagoniste a diventare il simbolo
di chi, chiudendo gli occhi, sa affrontare l'ignoto e il destino, sa convertire
la distruzione in "trasformazione". In ambedue i casi c'è un bambino
che sorride o che comunque non piange. Che sia questa la vera evoluzione?
Veniamo ora ad un aspetto
compositivo meno evidente ma che accomuna i due capolavori: la loro costruzione
su ricorrenti geometrie spaziali e simboliche. Per prima cosa notiamo il
cerchio e le sfere, simboli sì planetari (il gioco rallentato dei pianeti in 2001, odissea nello spazio e la "doppia luna" che domina la
terra nelle notti di Melancholia)
ma anche esistenziali: nella scena finale di Malancholia l'umanità "residua" di Von Trier si tiene per mano sotto una simbolica
tenda, in cerchio, come se quel cerchio unisse le sorti dell'intera umanità che
si stringe per affrontare il futuro; così, nel film di Kubrick, si può
immaginare un immaginario cerchio con l’intero genere umano che si tiene per
mano, ascoltando la filastrocca del "girotondo" cantata dal computer
HAL con la voce metallica che rallenta e si deforma sempre di più, quale
simbolo della fine di un'era.
Altre geometrie: al monolite nero – il
parallelepipedo del film di Kubrick – risponde in Melancholia la forma piramidale
della capanna immaginaria costruita dalla piccola-grande umanità, come rifugio prima dell'impatto. Il monolite è un parallelepipedo
perfetto, il rapporto tra i suoi lati corrisponde alla cosiddetta "sezione
aurea", la divina proporzione, che richiama l'armonia e la perfezione,
nella natura come nell'arte; nel rapporto tra i suoi lati si nasconde un numero
il cui valore non è esprimibile in cifre decimali se non in forma approssimata:
1,618034... il numero d'oro. Ma anche il triangolo isoscele con angolo acuto di 36°
e due angoli di base di 72° (la capanna immaginaria, piramide di Melancholia)
porta nella proporzione geometrica al numero d'oro, e non è un caso: se
l'armonia del monolite rassicura l'uomo che con l'evoluzione si ricomporrà sempre
una nuova armonia, e che l'output della distruzione e della morte è in fondo rigenerazione,
così la capanna-piramide primitiva è ritorno alle origini, non solo storiche ma
emotive, al recupero del senso, all'isolamento come ritrovamento. La geometria e il numero d'oro, casuali
o ricercati, infondono queste aspettative.
Ricordiamo che Paul Gauguin si isolò
a Tahiti proprio in una capanna in riva all'oceano, per scrivere nelle sue
memorie: «La civiltà mi sta lentamente abbandonando.
Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo,
anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo
alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al
presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». Questo evolversi citato dal grande
pittore nasce dalla semplicità e dal rifugiarsi nella natura, è di ordine
spirituale, è “aiutato” dai rami intrecciati di una capanna...
«I movimenti di
concentrazione e di espansione della materia sono compresenti nell'universo»
– scrive Antonio Moresco in un suo recente saggio – «anche all'interno di noi stessi, in quell'organismo racchiuso in
quell'involucro di pelle che percepiamo come noi stessi e che è il risultato
attuale di milioni di reazioni chimiche, avviene una continua spinta e controspinta alla combustione, la fusione e la
concentrazione [...] accanto a quella [spinta] che tende all'allontanamento e
all'espansione».
Il momento culminante
di Melancholia è infatti una combustione, generata da una forza
centripeta ed attrattiva tra i due pianeti, che provoca nel medesimo istante
una simbolica unione e una forza attrattiva tra intelletti ed emotività di
individui molto diversi tra loro, che sono "spinti" ad unirsi da
una sorta di "sistema
geometrico necessario", che li dispone sotto una struttura piramidale, che
fa loro chiudere gli occhi, e aspettare l'inevitabile "fusione".
L'alba che fa da
sfondo alla comunità degli ominidi all’inizio di 2001 ha come risposta la scena del matrimonio con cui si apre Melancholia, matrimonio come "alba", come principio della
famiglia che è nucleo della società e dell'umanità, anche se di un'umanità
dolente; sembrerebbe logico avere un finale ispirato al "tramonto"
dell'umanità, invece abbiamo due finali-rinascita che sono insieme simboli di
evoluzione ma anche di ri-unione.
Il finale di
entrambi i film è un gioco di sfere, di nuove geometrie a confronto: le sfere che si avvicinano
in 2001 sono la bolla che avvolge il
nuovo bambino e il pianeta terra visto a distanza; in Melancholia i due pianeti (Terra
e Melancholia) che si scontrano. In entrambi, vuoi
nell'infinito spinto, vuoi nella luce
accecante dell'impatto, le geometrie esplicite e quelle percepite in modo
subliminale fino ad allora (triangoli e piramidi
immaginarie, solidi perfetti che fluttuano, cerchi, girotondi e sfere che si
compenetrano, che si fondono) fanno vibrare una strana, incomprensibile,
primitiva consapevolezza… che «ci evolveremo normalmente e non avremo più vane
preoccupazioni».