www.rifrazioni.net /l'oltre del cinema/linee

 

 

 

 

GEOMETRIE DELL'EVOLUZIONE

DA 2001, ODISSEA NELLO SPAZIO A MELANCHOLIA

 

Massimiliano Camellini

 

La prima impressione che danno i due film di Stanley Kubrick e Lars Von Trier, seppur distanti per stile anni luce, [1] tanto per usare un gergo "planetario", è di una forte analogia simbolica. Anzitutto entrambi sfiorano l'anti-narratività ma non vi cedono mai, sviluppano sempre il racconto che, seppur condito di riferimenti filosofici evidenti e di metafore, si articola secondo una trama, anche se tagliato trasversalmente da luci, iconografie e simboli apparentemente altri, ad una sua fine.

 

In entrambi, la musica ha un ruolo evocativo molto forte: Così parlò Zarathustra di Strauss in 2001, odissea nello spazio crea un collegamento con l'opera omonima di Friedrich Nietzsche e la filosofia dell'oltreuomo, inneggia all'evoluzione della specie che porta al bambino-stella, angelo o super-individuo che sia, e che ritorna sulla Terra per iniziare una nuova tappa del destino umano; il Tristano e Isotta di Wagner, scelto da Lars Von Trier come ouverture di Melancholia, è stato avvicinato alla filosofia di Schopenhauer, in quanto esprime per alcuni interpreti la morte come "liberazione", non come pessimistica rinuncia e negazione della vita, bensì come simbolo di "unione cosmica".

 

Il vero protagonista umano dei due film è un bambino: in 2001 appare alla fine avvolto in una sfera magica e cosmica, intesa quale nuova frontiera dell'evoluzione, con lo sguardo puro e innocente sul futuro (l'oltreuomo di Nietzsche); in Melancholia è l'innocenza [2] del figlio di una delle protagoniste a diventare il simbolo di chi, chiudendo gli occhi, sa affrontare l'ignoto e il destino, sa convertire la distruzione in "trasformazione". In ambedue i casi c'è un bambino che sorride o che comunque non piange. Che sia questa la vera evoluzione?

 

Veniamo ora ad un aspetto compositivo meno evidente ma che accomuna i due capolavori: la loro costruzione su ricorrenti geometrie spaziali e simboliche. Per prima cosa notiamo il cerchio e le sfere, simboli sì planetari (il gioco rallentato dei pianeti in 2001, odissea nello spazio e la "doppia luna" che domina la terra nelle notti di Melancholia) ma anche esistenziali: nella scena finale di Malancholia l'umanità "residua" di Von Trier si tiene per mano sotto una simbolica tenda, in cerchio, come se quel cerchio unisse le sorti dell'intera umanità che si stringe per affrontare il futuro; così, nel film di Kubrick, si può immaginare un immaginario cerchio con l’intero genere umano che si tiene per mano, ascoltando la filastrocca del "girotondo" cantata dal computer HAL con la voce metallica che rallenta e si deforma sempre di più, quale simbolo della fine di un'era.

  rifrazioni

 

Altre geometrie: al monolite nero – il parallelepipedo del film di Kubrick – risponde in Melancholia la forma piramidale della capanna immaginaria costruita dalla piccola-grande umanità, come rifugio prima dell'impatto. Il monolite è un parallelepipedo perfetto, il rapporto tra i suoi lati corrisponde alla cosiddetta "sezione aurea", la divina proporzione, che richiama l'armonia e la perfezione, nella natura come nell'arte; nel rapporto tra i suoi lati si nasconde un numero il cui valore non è esprimibile in cifre decimali se non in forma approssimata: 1,618034... il numero d'oro. [3] Ma anche il triangolo isoscele con angolo acuto di 36° e due angoli di base di 72° (la capanna immaginaria, piramide di Melancholia) porta nella proporzione geometrica al numero d'oro, e non è un caso: se l'armonia del monolite rassicura l'uomo che con l'evoluzione si ricomporrà sempre una nuova armonia, e che l'output della distruzione e della morte è in fondo rigenerazione, così la capanna-piramide primitiva è ritorno alle origini, non solo storiche ma emotive, al recupero del senso, all'isolamento come ritrovamento. La geometria e il numero d'oro, casuali o ricercati, infondono queste aspettative.

 

Ricordiamo che Paul Gauguin si isolò a Tahiti proprio in una capanna in riva all'oceano, per scrivere nelle sue memorie: «La civiltà mi sta lentamente abbandonando. Comincio a pensare con semplicità, a non avere più odio per il mio prossimo, anzi ad amarlo. Godo tutte le gioie della vita libera, animale e umana. Sfuggo alla fatica, penetro nella natura: con la certezza di un domani uguale al presente, così libero, così bello, la pace discende in me; mi evolvo normalmente e non ho più vane preoccupazioni». [4] Questo evolversi citato dal grande pittore nasce dalla semplicità e dal rifugiarsi nella natura, è di ordine spirituale, è “aiutato” dai rami intrecciati di una capanna...

 

«I movimenti di concentrazione e di espansione della materia sono compresenti nell'universo» – scrive Antonio Moresco in un suo recente saggio [5] – «anche all'interno di noi stessi, in quell'organismo racchiuso in quell'involucro di pelle che percepiamo come noi stessi e che è il risultato attuale di milioni di reazioni chimiche, avviene una continua spinta e controspinta alla combustione, la fusione e la concentrazione [...] accanto a quella [spinta] che tende all'allontanamento e all'espansione».

 

Il momento culminante di Melancholia è infatti una combustione, generata da una forza centripeta ed attrattiva tra i due pianeti, che provoca nel medesimo istante una simbolica unione e una forza attrattiva tra intelletti ed emotività di individui molto diversi tra loro, che sono "spinti" ad unirsi da una  sorta di "sistema geometrico necessario", che li dispone sotto una struttura piramidale, che fa loro chiudere gli occhi, e aspettare l'inevitabile "fusione".

 

L'alba che fa da sfondo alla comunità degli ominidi all’inizio di 2001 ha come risposta la scena del matrimonio con cui si apre Melancholia, matrimonio come "alba", come principio della famiglia che è nucleo della società e dell'umanità, anche se di un'umanità dolente; sembrerebbe logico avere un finale ispirato al "tramonto" dell'umanità, invece abbiamo due finali-rinascita che sono insieme simboli di evoluzione ma anche di ri-unione.

 

Il finale di entrambi i film è un gioco di sfere, di nuove geometrie a confronto: le sfere che si avvicinano in 2001 sono la bolla che avvolge il nuovo bambino e il pianeta terra visto a distanza; in Melancholia i due pianeti (Terra e Melancholia) che si scontrano. In entrambi, vuoi nell'infinito spinto, vuoi nella luce accecante dell'impatto, le geometrie esplicite e quelle percepite in modo subliminale fino ad allora (triangoli e piramidi immaginarie, solidi perfetti che fluttuano, cerchi, girotondi e sfere che si compenetrano, che si fondono) fanno vibrare una strana, incomprensibile, primitiva consapevolezza… che «ci evolveremo normalmente e non avremo più vane preoccupazioni». [6]

 

 



[1] 2001, odissea nello spazio (1968), oltre a essere universalmente riconosciuto un capolavoro, al momento della sua uscita rappresentava qualcosa di estremamente avanzato per effetti speciali, fotografi, scenografia (schermi piatti, touch screen, collegamenti ipertestuali, calcolatori parlanti, etc.), rispetto alla fantascienza rappresentata a fine anni '60.

[2] Non a caso in Melancholia  anche lo strumento realizzato con filo di ferro e legno per il piccolo protagonista, che permette di valutare in modo approssimativo l'avvicinamento del pianeta, si trasforma da "spirale geometrica primitiva" a strumento rivelatore di un destino planetario, conferendo ancora a strumenti di misurazione dello spazio il ruolo premonitore.

[3] Fu agli inizi del '900 che il matematico americano Mark Barr propose di indicare numero d'oro, 1,618034..., con la lettera J, l'iniziale di Fidia, lo scultore greco che ebbe sempre presente la "divina proporzione" nel realizzare le sculture del Partenone di Atene.

[4] Cfr. P. Gauguin, Noa-Noa e lettere da Tahiti (1891-1893), Abscondita, Milano 2007, pp. 109 e ss.

[5] A. Moresco, L’adorazione, in Il primo amore - giornale di sconfinamento n° 9, Effigie 2012, p. 6 e ss.

[6] Cfr. Gauguin, Noa-Noa e lettere da Tahiti (1891-1893), cit.

 

 
 

- i n f o @ r i f r a z i o n i . n e t -