Una
donna sdraiata su un letto aspetta accanto al telefono che qualcosa accada.
Dopo mille attese il telefono squilla. Dall’altra parte del filo, l’ombra del
proprio amante che vive nel silenzio. “Pronto, sei tu?”, sono le parole con cui
Anna Magnani dà inizio ad un malinconico e disperato
soliloquio che preannuncia la fine di una storia d’amore.
Ispiratosi
a La voce umana, la pièce teatrale di
Cocteau, Rossellini mette in scena, tra le pause, i singhiozzi e le parole
urlate della protagonista, uno splendido piccolo film sulla fine di una storia
che la donna disperatamente cerca di trattenere attraverso un piccolo oggetto
domestico: il telefono.
Diventa
foglio invisibile sul quale registrare i propri pensieri o una penna con la
quale scrivere le proprie parole, il telefono, protesi e prolunga del proprio
corpo e della propria voce. Da oggetto amato si fa amante, nella totale
coincidenza con l’uomo dall’altra parte del filo.
Oggi,
a poco più di sessanta anni dalla
realizzazione del film di Rossellini, il telefono, già divenuto mobile con
l’avvento del cellulare, oltre che indiscusso oggetto di comunicazione, nel
ridefinire le forme di visione attraverso l’innovativo dispositivo, diventa linguaggio,
si mette in scena, non più come insolito attore ma alla ricerca degli infiniti
luoghi da raggiungere ed investire attraverso uno
sguardo anarchico, straniante eppure sorprendentemente trasparente.
Il
display, assorbite le funzioni di monitor, diventa schermo sul quale si
riflettono rapidissimi e fugaci movimenti, si fa specchio di una realtà
imminente, ripresa nel suo divenire, nel suo accadere e – messa in scena
attraverso un spazio espositivo del tutto lontano da
quello canonico nel quale si riflettono piccoli frammenti di quotidianità
– fedelmente rappresentata dall’occhio digitale che sceglie come propri
set le strade, le case e come eccentrici ed insoliti soggetti i volti della
gente che sembra pedinare.
Eletto
come l’ultimo degli strumenti tecnologici, ormai perfettamente “addomesticati”,
il moderno cellulare non esita a sostituirsi all’occhio umano nel rimandare una
realtà fedele, perfettamente aderente a quanto si mostra all’apparenza,
semplicemente digitalizzandola.
Giunto
ormai alla terza generazione degli Smartphone, attraverso palmari, telefoni Umts e I-phone, il videofonino percepisce la realtà e allo steso
tempo la guarda, la spia e la mette in scena reinterpretandola.
È
così che si esibisce
e scopre se stesso nelle riprese sfocate, sgranate, lontane addirittura anche
dai primissimi tentativi dei Lumiere, dando luogo spesso a frammenti di cinema,
schegge della moderna video-arte, dettagli di figure evanescenti, ancora alla ricerca di un proprio
spazio in cui la macchina da presa cede lentamente il passo alla neonata cameraphone.
Scrivere,
registrare, fotografare, riprendere, (tralasciando i sistemi di editing), sono tra le innumerevoli potenzialità di un oggetto
compatto, maneggevole, sorprendentemente duttile rispetto a ogni funzione e
finzione, dedito alla sperimentazione costante della fotografia e della ripresa
video, che interroga se stesso, già da qualche anno, sulle proprie potenzialità
per la realizzazione, accanto all’arte del cinema, di piccoli film.
Mezzo
di ripresa e di visione, all’interno del panorama mediale che vede i film ormai
soggetti a continui processi di ri-locazione, il videofonino imita il cinema,
ricalcandone le ombre, a volte nelle sceneggiature e nelle riprese, mostrandolo
sul proprio display e al tempo stesso ripudiandolo, allontanandosi dalle regole
del mainstream propriamente cinematografico e spesso
scegliendo le rassegne che vi si dedicano, dal Pocket Film Festival di Parigi
allo Short Film di Berlino, e YouTube come
piattaforma ideale sulla quale fruire dei video.
Acclamata
come la più innovativa tra le moderne tecnologie, la videocamera del cellulare
è fonte di ispirazione adottata sia da video artisti
affermati, molti dei quali hanno vinto dei premi nei Festival specializzati,
sia da una nuovissima frangia di nuovi registi che vede in questo strumento il
moderno apparecchio di ripresa super leggero del nuovo cinema, così come negli
anni sessanta fu la comparsa del super8.
Assimilate
così le funzioni delle videocamere leggere e delle fotocamere digitali, il
videofonino non è più solo il medium più innovativo nel quale convergono una
moltitudine di forme mediali per girare e registrare, ma diventa la piattaforma
più versatile, sulla quale fruire di film, video e di foto.
Nel
rispondere sempre più ad esigenze di trasparenza e di
immediatezza, al pari delle webcam, impercettibili videocamere inglobate nel
computer, il videofonino, sembra lasciarsi alle spalle le ormai obsolete
caratteristiche di mediatore di realtà e, assumendo lo status di protesi dell’occhio
umano, lascia così che tanto un regista improvvisato quanto uno
spettatore-utente rimangano soli di fronte alla realtà rappresentata, senza più
nulla a dividerli.
“Ognuno
metta in scena se stesso ed il mondo”, sembra essere
lo slogan ideale di ogni operatore telefonico nella sempre più fruttuosa
produzione di moderni cellulari da permettere così, a chiunque voglia, di
cimentarsi come regista, attore e
produttore di un proprio video.
Dall’incontro
delle diverse tecnologie (tv, computer e telefono) e dalla compresenza
delle varie funzioni, assimilabili ad un unico oggetto, si assiste ad una
inevitabile fusione della dimensione privata e pubblica, in cui il cinema,
ormai “mobile”, è insieme esperienza privata ed allo stesso tempo pubblica.
Vedere
e sentire si trovano così ad essere potenziati,
ingigantiti ed il cellulare, ormai acquisita una funzione intimamente
protesica, prolunga le mani, percepisce i movimenti, precede il nostro sguardo
facendo sì che basti solo un clic perché ci si possa scoprire riflessi sul
proprio schermo-display, sentendo sempre più presente la necessità di
condividere la propria immagine, per sua stessa natura ibrida, con gli sguardi
degli altri.