SPERIMENTARE
LA COEVITÀ
INCONTRO CON MARCUS KREISS
SU SFE -
SOUVENIRS FROM EARTH
A cura di GIANLUCA PULSONI
e PHILIPPE D. DE MONTETON
I. Nota per uno osservazione del broadcasting contemporaneo
di Gianluca Pulsoni
Lo
studioso argomenta come l’altro sia stato, attraverso le scienze sociali,
costantemente distanziato nel tempo, rispetto all’osservatore occidentale,
primitivizzato, posto in una prospettiva che, con termine felice, chiama
allocronica. Egli indica questo processo come un processo di negazione della coevità.
Francesco Faeta
Bisognerebbe riscrivere in termini attuali, dunque
continuare se non “aggiornare”, come si fa di un software, quel grande libro “pedagogico” in anticipo assoluto sui media studies che fu La moderna civilità dell’immagine del
dimenticatissimo Enrico Fulchignoni, libro che è stato tra i primissimi in
Italia a occuparsi di questioni tuttora cruciali legate all’immagine e i media,
con uno sguardo profondamente panoramico,
senza nulla da invidiare a studiosi più celebri come, per esempio, Edgar Morin.
L’attualità del libro di Fulchignoni – il quale,
oltre che un grande studioso, fu uomo di teatro e pioniere dello sviluppo del
film etnografico in Europa – sta a mio avviso nella passione con cui
l’autore cerca la giusta collocazione (la posizione plastica) dell’immagine nel mondo, tanto nelle relazioni antropologiche quanto nello spazio sociologico. Un intendimento
essenziale che oggi spesso manca, sommerso com’è dal peso delle voci che
nascono da un opposto punto di vista che guarda al film come testo, questionando di rado però, e senza metodicità,
il relativo contesto.
L’ipotesi che lancio qui, ora, si basa su una suggestione
da altri in forme e parole diverse già avviata, ma che merita di essere ribadita, ovvero quella di considerare i media non tanto o almeno non solo in
rapporto alla loro solita funzione di rappresentazione o anticipazione storica,
ma anche attraverso il loro incontro con la grammatica e il linguaggio dello
spazio, nello specifico, sociale. E dunque: che relazione c’è tra immagine,
luogo e spazialità?
Il sacro,
il domestico e la piazza circoscrivono da sempre, come tematiche, il rapporto secolarizzato dell’uomo
con il mondo, sostanzialmente: la sua territorializzazione, la sua
civilizzazione, la sua metaforizzazione, ovvero tre modi di pensare
l’antropizzazione. Con un balzo temporale, e una specificità contestuale,
potremmo utilizzare gli stessi come indicatori della collocazione sociale dell’immagine audio-visiva, avendone i medesimi riscontri.
In tal modo, si può dire come la sacralità di tale
immagine si sia rivelata al “mondo della tecnica” attraverso il cinema, regno
della nuova alterità, possibile e riconosciuta; si può poi seguire il passaggio
da tale alterità alla costruzione identitaria dell’uomo come “cittadino”
attraverso il fenomeno della tv, vero medium che ha inagurato il periodo delle immagini domesticate,
le quali oggi stanno sempre più fuoriuscendo da tale struttura per confluire in
una nuova dimensione pubblica della visione, non più sacralizzata né
privatizzata ma dislocata se non delocalizzata ovunque, dove la configurazione
di rapporti tra vecchie e nuove immagini incontra la proliferazione di nuovi contesti, nella metafora
globale della piazza che, più del villaggio, sembra il punto di vista
perfetto di questa continua esplosione dell’attualità,
capace di spostare l’osservazione dal segreto dell’ambiente privato al comune delle
esperienze condivise, dove tra virtuale e reale non si danno separazioni ma
giustapposizioni per discontinuità.
Cinema, televisione, internet possono essere i tre stadi
concretizzati di questo discorso, ideali trasposizioni di tre luoghi-simbolo
della cittadinanza umana: la chiesa, la casa e, come detto, la piazza. A
differenza però di qualsiasi processo evolutivo lineare, l’impressione forte è
che cinema, televisione e internet siano tre narratives che oggi possiamo ritrovare cumulati gli uni negli
altri, con-fusi tanto nei loro testi quanto nei rispettivi contesti.
Di qui il grande fascinodi un serio studio sui media che prenda in considerazione la
loro posizione dentro le trame sociali.
Da tale punto di vista, le contemporanee esperienze
televisive di ricerca ci sembrano un campo d’indagine prezioso, banco di prova per una osservazione
esaustiva dei rapporti antropologici e sociologici sempre più fluidi, tra uno
spettatore divenuto sempre più utente e immagini configurate oramai come nuovi utensili.
Concatenazioni nuove per un paradossale recupero sperimentale di quella coevità fondamentale all’ incontro con l’alterità, singolare e
molteplice. Un qualcosa venuto meno negli usi impropri dei media nel corso di questi anni.
Il contributo che si presenta al riguardo, offre a suo modo un esempio di tale
sforzo di ripresa.
SFE - Souvenirs from
Earth (www.sfe.tv) è un progetto nato dalla mente dell’artista visivo tedesco
Marcus Kreiss, CEO del network, nel
2006. Tra le nuove e significative esperienze
mediatiche, è una delle ultime arrivate e, come tale, riflette forse in modo più
immediato molte condizioni contemporanee dello stato dell’immagine
audio-visiva. Non ha il riconoscimento istituzionale che permette(va) una
copertura sperimentale come nel caso della francese Arte (www.arte.tv), né radici consolidate dentro il
sistema televisivo della nostra Fuori Orario (www.fuoriorario.rai.it) né sembra avere
una mission politica alla maniera di
Paper Tiger di New York (www.papertiger.org).
La particolarità di SFE sembra invece risiedere nel
tentativo di mostrarsi un canale capace di raccogliere stimoli e idee che
sembrano arrivare direttamente dalle intersezioni tra i “mondi” della pratica
del cinema sperimentale e quello dell’arte, alla luce dell’attuale (p)resa informatica delle cose e dei fenomeni. Un tentativo,
se si vuole, di fare della pratica della trasmissione
una scienza sperimentale e della contemporaneità della forma e del contenuto, e
tra forma e contenuto, la propria “frequenza” ideale.
II. Incontro
con Marcus Kreiss
traduzione e cura di Gianluca Pulsoni e
Philippe D. De Monteton
Tutto
sembrerebbe quindi dimostrare come il telespettatore, introdotto nel nuovo
successo dell’immagine elettronica piuttosto che operare una radicale
separazione fra il proprio territorio di
esperienza e la realtà iconica (come accade per l’immagine filmica) tenda
invece a conciliare la esistenza parallela di ambedue.
L’immagine televisiva sarebbe dunque, in analogia ad altre famiglie di immagini, piuttosto un oggetto disposto fra altri
oggetti, dotato d’un coefficiente più forte d’intensità esistenziale.
Enrico Fulchignoni
L’intervista con Marcus
Kreiss è stata organizzata via e-mail secondo quattro tematiche: struttura, arte,
tecnica, trasmissione. Al fine di mantenere la concisione e precisione delle
risposte, abbiamo deciso di riproporre lo stesso
schema nella fase di trascrizione e nella resa finale.
Struttura
Quando e come è nata l’idea di creare SFE?
Intorno al 1992. Studiavo regia ma ho sempre trovato il
formato film troppo stretto. Essere un filmmaker e un pittore venne abbastanza naturalmente. Inoltre, ricordo una serie di
fantascienza britannica, Ufo, dove i
personaggi avevano film molto lenti che scorrevano come decorazioni nelle loro
camere.
Conoscevi altri casi di
“televisioni artistiche” avuti in precedenza, come il Black
Gate Cologne di Otto Piene e Aldo
Tambellini, o il più cinematografico Fuori Orario di Rai3? Ci sono differenze o parallelismi?
Non li conoscevo quando ho concepito il progetto. C’erano
anche Gery Schum e Nam June Paik che sognavano, agli inizi degli anni ’60, quello
che facciamo ora noi a SFE. La cosa più importante fu però la trasmissione in flowmotion al canale della televisione
locale di Francoforte, lo spin-off di
una trasmissione televisiva di culto, Space Night.
Quante persone lavorano a
SFE? Chi fa cosa? Ovvero: qual è la vostra struttura organizzativa
(programmazione, divisione del lavoro etc.)? Qual è il vostro modello di business?
Abbiamo un curatore fin dai primi anni, Alec Crichton, che
prende la parte più grande del programma, Markus a Vienna si occuperà del lato
inerente agli affari e al materiale tecnico. Io ho un piccolo ufficio a Parigi
con alcuni stagisti e pubblicitari freelance.
Vendiamo programmi personalizzati, spazi pubblicitari in programmi della
televisione tradizionale, produzione di film e, presto, la nostra applicazione
per iPad.
Arte
Abbiamo notato come l’ìdea della video-pittura sembri importante nella filosofia
di SFE. Puoi dirci di più al riguardo?
Un grande schermo può veramente funzionare come un quadro.
Poche persone del mondo del business cinematografico o televisivo prendono sul serio quello che tu vedi veramente, i
pixel. Sono tutti concentrati sul racconto. Nel concetto di video-pittura che
mi piacerebbe promuovere con il canale, la storia è tutta visuale, la storia è quella che vedi, non quello che senti. Mi
piacerebbe che il pubblico sentisse di fronte allo schermo qualcosa di simile
alla sensazione di fronte a un quadro di Matisse, qualcosa che ti può far volare solo aggiungendo dei colori sullo schermo/tela
nel modo giusto. Questo non è stato possibile fino a che gli schermi non sono
diventati realmente grandi e in HD.
Pensi che SFE sia una opera
d’arte in sé? Nel caso tu dovessi scegliere un posto in un museo per il tuo
progetto, dove ti piacerebbe che fosse, in un museo d’arte, in un museo della televisione o in un museo del cinema?
SFE è una opera d’arte in sé, mi occupo di mantenerla sul giusto
binario ogni giorno e penso che solamente un artista possa fare questo. SFE è un museo in sé, quello in cui
siamo interessanti è non essere in questi musei, ma nei bar di questi musei!
SFE tocca mondi
differenti: televisione, (video)arte e cinema (sperimentale).
Tre mondi che hanno sociologie e mercati differenti. Secondo te, in quali di
questi mondi SFE si trova più a
proprio agio?
Non dimenticate il mondo dell’arte. Cosa
offre SFE è una reale
rivoluzione, al limite per la videoarte. Noi diciamo che la videoarte dovrebbe
essere in televisione, non nel mercato dell’arte dove fanno in modo artefatto
edizioni limitate per creare un valore. Noi proviamo a trovare formule dove gallerie e collezionisti possano essere parte
di questo nuovo approccio. Ma alla fine, cosa siamo è
televisione: mettiamo assieme un programma lineare che speriamo possa
interessare il pubblico, vogliamo essere nelle vite delle persone, sui loro
muri. Questo è quello che una televisione fa…
Tecnica
SFE è aperta anche
alla fotografia, non è vero? Come concepite il rapporto tra SFE e la fotografia?
È molto semplice, i fotografi sono molto vicini alla
videoarte che promuoviamo. Mostriamo slideshows,
anche per promuovere mostre o libri fotografici. Pensiamo il canale come una
continua stimulazione visuale, e la fotografia è certamente parte di tutto
questo.
Dei lavori che
trasmettete, quanti sono fatti su celluloide e quanti su digitale?
Forse l’1% è preso da film reali, spesso il 16 o il 18,5% forse da vecchi analogici. Il resto è digitale.
Quanto spazio occupano i
lavori cinematografici nella programmazione di SFE? Qual è il ruolo del cinema nella tua TV?
Alcuni cortometraggi con non molto parlato possono
adattarsi bene al format. Forse ne
proiettiamo due al mese, ma potrebbero essere di più.
Penso anche che film della Akerman, Tarkovskij o Ozu
potrebbero andare.
Trasmissione
Quali sono gli obiettivi
a lungo termine di SFE? Dove la
vedremo nei prossimi dieci anni?
Lavoriamo a un box che
possa rendere SFE disponibile in HD
via internet in tutto il mondo. Inoltre, lavoriamo per portare SFE nei mercati anglosassone,
statunitense, brasiliano e cinese.
La vostra televisione è
in importanti sedi com e il “Palais di Tokyo” a Parigi. Possiamo vedere SFE ovunque, anche a casa (su schermi
televisivi o pc), persino su cellulare (sui famigerati smartphones)? Qual è il vostro modo preferito di
trasmettere?
Il modo migliore è ancora su schermi grandi. Spero che potremmo avere la nostra app per iPad presto così da trasmettere
il programma da lì sui vostri schermi con tv apple connesse. Speriamo tutti che apple riesca a fornire una propria tv,
così da essere abbastanza sicuri con un appstore dietro a stazioni televisive
marginali come noi. Si può anche guardare SFE via internet, dal nostro sito, in una qualità non eccelsa.
Dal cinema all’iPhone. Come vedi, l’evoluzione del modo in cui le immagini
sono “consumate”, che è inziato con lo schermo del
cinema negli spazi pubblici, e che evolve ora verso forme più private di
immagine? Come andranno le cose in futuro secondo te?
Tutto sarà molto di più on demand. Morirà la televisione intesa classicamente. L’esperienza
domestica televisiva e cinematografica della comunità scomparirà. Non vado più
al cinema in piccoli teatri, ma quelli grandi sono spariti. Ecco quindi, SFE
sarà forse una delle offerte degli ultimi programmi lineari. Per noi ha senso:
si vive col programma che noi offriamo, non lo guardi attivamente, è come la
radio. E poi: come scoprire giovani artisti? Hai bisogno di un programma lineare.
Offriremo presto un secondo livello all’esperienza dello spettatore: egli potrà
cliccare sulla sua applicazione dell’ iPad e immediatamente otterrà tutte le
informazioni del video che trasmettiamo, potrà linkarlo, comprare la versione vod e fare altro.