METROPOLIS
IL CAPOLAVORO RITROVATO
di MASSIMO CENTINI
Continua
fino al 6 gennaio, presso il Museo del cinema di Torino la mostra
"Metropolis. Il capolavoro ritrovato", che è stata prodotta dalla Deutsche Kinemathek di Berlino e integrata
con i materiali della Cinémathèque Française di Parigi. La rassegna celebra Metropolis (1920) di Fritz Lang
(1890-1976), restaurato dopo il sorprendente ritrovamento nel 2008 a Buenos
Aires di una versione del film in 16 mm che ha consentito di giungere alla
ricostruzione dell’originale, che aveva una lunghezza di 4.189 metri e durava
153 minuti. Infatti l’originale ha subito tutta una serie di riduzioni che in
parte sono state integrate dal lavoro filologico condotto dagli studiosi, ma
che il ritrovamento della pellicola ha consentito di confermare, integrare,
ampliare. Il film è presentato al Cinema Massimo mentre la mostra, alla Mole
Antonelliana, riunisce per la prima volta tutti i reperti originali del film:
materiali di scena, disegni preparatori, bozzetti, fotografie, macchine da
presa, spartiti musicali e numerosi altri reperti originali. La grande quantità
di fotografie che la mostra propone ci restituisce un’immagine vivissima
dell’impegno che questo film richiese a tutti i livelli. L’opera, dichiarata
patrimonio mondiale dell’umanità, può essere considerata l’archetipo del cinema
di fantascienza nel quale entrano in gioco molteplici temi, scelte narrativi,
filmiche e sceniche la cui eco sarà poi rinvenibile presente in pellicole come Blade Runner (1982), Terminator (1984), Dark man (1992).
Per esempio, in Blade Runner, come nel film di Fritz Lang, ritroviamo l’archetipo
di quel mondo futuro in cui sono venuti meno molti valori e prerogative che
contrassegnano l’idea di una società etica. La Los Angeles del 2019 in cui è
ambientata la vicenda di Philip K. Dick, è una città invivibile, devastata
dall’inquinamento e dal sovraffollamento. La critica sociale si dispone su un
impianto espressionista che ricorre a modelli simbolici come la Torre di
Babele, o il pericolo che scaturisce dall’errato utilizzo della tecnologia.
Caso indicativo è quello del dottor Rotwang di Metropolis, che utilizza le sue conoscenze per dare vita ad un
essere-copia attraverso il quale danneggiare i propri simili, da lui
considerati inferiori e solo sterili macchine da lavoro. E ancora la presenza della creatura “elettro-umana” è per
molti aspetti antesignana del moderno cyborg e recupera la tradizione più
antica e diffusa in Occidente quanto in Oriente dei cosiddetti automi.
A vederla oggi quest’opera risulta
un kolossal nel verso senso della parola: soprattutto in relazione alla grande
quantità di strutture attivate per realizzare un progetto narrativo che si
presta a molteplici chiavi di lettura e costituisce un campo sconfinato per
apprendimenti che vanno dalla storia del cinema alla semiologia, dalla
sociologia della cultura alla tecnologia cinematografica.
L’impianto del film si pone in
modo di chiaramente critico nei confronti della società che ha votato tutto
alla produzione diretta ad alienare l’etica e la morale in direzione del “dio
denaro”, che naturalmente fluisce solo nelle casse di pochi privilegiati. Sono
loro a detenere il potere della tecnologia che però ha bisogno del “motore”
umano costituiscono dal lavoro che uccide e soffoca. Articolata storia che si
avvalse di ben 36.000 comparse, Metropolis si sorregge su un soggetto e una
scenografia creati da Lang e dalla moglie Thea von Harbou: un dedalo complesso,
che offre tutta una serie di stimolanti occasioni di approfondimento, di riflessione,
ma anche di studio. Infatti sono numerosi i temi che ci orientano verso letture
selettive del film, che pongono così in rilievo la magmatica sostanza poetica
di questo capolavoro della cinematografia mondiale.
La particolarità della narrazione,
straordinariamente innovativa, anche dal punto di vista della scelte dei temi,
si vivacizza attraverso tutta una serie di citazioni e riferimenti che vanno
dalla tradizione veterotestamentaria al Cabiria di Pastrone. Un film che è davvero un classico e che, come tutti i classici,
non passa mai di moda.