IL DIMENTICATOIO
di MAURIZIO INCHINGOLI
Nazirock. Come sdoganare la svastica e i saluti
romani (2008, di Claudio Lazzaro)
Una
spirale di sottile e indifferente angoscia ci pervade. Sembrano lontani anni
luce i necessari tempi delle lotte fratricide tra opposte fazioni politiche: il '68 e le lotte
di classe, l'internazionale socialista ed il maggio francese, Deleuze e l'uso
consapevole della parola. Uso consapevole della mostruosità ideologica è invece l'assunto
che spinge questi imberbi ragazzini ad evocare e praticare il nulla, fomentati da cattivi maestri ed
ideologhi pericolosi ed imbevuti di una falsa cultura della fratellanza e della
sopraffazione fisica e mentale, plagiaristica e cinica, utile ad annientare
l'altro ed il diverso. Termini che fanno la felicità di mostri umani come
quelli intervistati nel film-inchiesta di Claudio Lazzaro. Parole pesanti come
un macigno, affascinanti od ammalianti, fate voi, e multiple, dal sottile sapore del sadismo
sulle coscienze altrui, e masochistiche verso una personale ed innaturale
umanità perduta. Abisso dell'uomo, perdizione e negatività spinta all'estremo
punto di non ritorno. Fin dove l'uomo stesso non può più quasi tornare
indietro, finito ed annullato. Il grado zero e l'incoscienza, il primitivismo e
la fine. Il fondo e la stupidità, avallate da teorie inaccettabili e becere,
oscurantiste e vergognose, ma pur sempre create dalla fervente e misteriosa
mente dell'uomo. Il bianco ed il nero, lo ying e lo yang, una spiritualità
dualistica marcia ed insostenibile. È faticoso assistere ad un documentario del
genere e rimanere impassibili dinanzi a tale decadimento dell'essere umano.
Sembra di vedere le scimmie di Kubrick dimenarsi ottuse di fronte al nero
monolito dell'esistenza con fare meccanico e nevrotico.
Assurdo
poi vedere la giovinezza persa tra le spire della inettitudine storica. Giusto
mettere in dubbio la Storia, sempre, mesmerico ricordo post smembrato e vivisezionato dallo
studioso di turno, ma negare terribili apocalissi in terra come l'Olocausto è sinceramente qualcosa
di inaudita e spaventosa potenza che ci lascia atterriti. Spaventati ed
interdetti, annichiliti di fronte alla sfrontata ed ottundente stupidità, e di
fondo banale considerazione della vita altrui; come degli animali che
attraversano la strada in cerca di una triste vita fatta di inutili riti. La pericolosità
sociale a cui assurgono certe idee ha del sovversivo già solo nel concepirle e
pensarle, figuriamoci nell'applicarle. E di questi tempi, bui, angosciosi e
tetri, la cosa fa un certo effetto. A maggior ragione se pensiamo che testate
giornalistiche di chiara ispirazione cattolica come Famiglia Cristiana
paventano, spaventate, il ritorno di ideologie fasciste e punitive come quelle
adottate in maniera ipocrita ed unilaterale dal governo attualmente in carica, che
ha del fascismo tutti i crismi e le moine ideologiche e fattuali. Badate bene,
governo eletto dal popolo democraticamente e con voto regolare: peccato invece
che la pratica sia stata definitivamente drogata ed annientata ormai più di
vent'anni fa con una operazione chirurgica delle più raffinate, inoculando a
forza il germe malefico dell'arrivismo economico e consumistico nelle genti
italiche, assumendo una figura oscura e comica allo stesso tempo come quella
del premier ora in carica come maschera e paravento delle nefandezze storiche e
culturali che appartengono purtroppo al popolo italiota, per dirla con Carmelo Bene, in
favore di un disegno mostruoso che mira ad unire per sempre in un matrimonio
incestuoso Chiesa cattolica ed istituzioni, società in-civile e movimenti,
carta stampata e tv. A questo proposito sono sicuramente d'aiuto le immagini
selezionate ad arte da un programma fondamentale come Blob, contenitore di senso per eccellenza. Il ventennio
fascista è stato l'embrione che ha fomentato tutto ciò, poi congelato per più
di 30 anni e riesumato e disseppellito per l'occasione da neanche tanto occulti
e pericolosi politici di casa nostra, pronti a riprendersi il Belpaese e ad
annientare ancora qualsiasi forma di dibattito politico e culturale che potesse
ridare lustro ad una nazione troppo fantasiosa come l'Italia: meglio il
grigiume e le asperità intellettuali ed oscurantiste alimentate anche dalla
Santa Madre Chiesa, che le elucubrazioni illuminanti di una checca troppo lucida e pericolosa come
Pier Paolo Pasolini, ad esempio. Che non a caso in Salò, o le 120 giornate
di Sodoma (1975)
anticipava e presentava su un piatto d'argento lo scempio che si sarebbe poi
compiuto negli anni a venire. «Io so…», affermava deciso, in una famosa
intervista concessa in tv ad Enzo Biagi, il demiurgo e pericoloso autore
friulano, che doveva difendersi dagli attacchi ignominiosi di laici ed ipocriti
lacché ed allo stesso tempo chierichetti della romana chiesa, di fatto
figliocci di quella mentalità mai morta ma solo celata e nascosta con timore
dopo il buio ventennio fascista, ma ancora ben visibile nei salotti bene di una
borghesia poi diventata altro da sé, per ritornare più stronza e vendicativa di
prima. Procreando bestie umane carine e docili finanche, come quelle viste in Nazirock, quasi intriganti nella loro
sottile pericolosità sociale accettata e giustificata dai cattivi maestri che
li guidano dall'alto delle loro poltrone chic, nei loro salotti dove fanno
bella mostra di se una statuetta del duce, con magari accanto la foto
dell'omino di Arcore, degno e visionario erede dello statista seppellito a
Predappio. Col sorriso sulle labbra e la strafottenza che la nostra finta e
malata democrazia concede a cotali personaggi (ma si dovrebbe aprire con
urgenza un dibattito su cosa è ora la democrazia), assistiamo perciò a discutibili e pericolosissime
convention architettate da personaggi di dubbia e misteriosa fama, tra
attentatori di sedi giornalistiche e presidenti del partito nazional-socialista
tedesco. Con le facce attente ed ottuse degli astanti, infoiati anche dalla
presenza di musicisti di dubbia fama, che aizzano questi giovani ragazzi
dall'anima nera che non vedono l'ora di scatenarsi al ritmo punk-rock di band
che si chiamano Legittima Offesa e Hobbit, sinceramente improponibili e
pericolose nel loro inneggiare alla violenza pura come catartica presa di
posizione nei confronti delle stesse istituzioni che i loro maestri neri
appoggiano di nascosto. «A morte gli sbirri, e le donne mute perchè hanno la
fica»: e qui ci viene in mente la delirante e funerea parodia del maschio
italiano inscenata da Ciprì e Maresco che filmano i misogini fratelli Abbate,
sublime e terribile presa di posizione al limite dell'udibile e
dell'accettabile. E contemporaneamente, con una non indifferente propensione
per gli affari, lucrando su di un immaginario ben camuffato ed, ebbene sì,
legittimo, anche se ad ammetterlo corriamo il rischio di farci venire
un'orticaria, stampato su magliette e gadget di ogni tipo, quasi a rendere
finalmente visibile l'invisibile e vendibile l'invendibile. Nazirock finalmente piazza i propri occhi
su un fenomeno solo fino a pochi anni fa nascosto e restio a farsi oggettivo.
Un plauso a Lazzaro per aver avuto il coraggio di affrontare questo tema
scottante, peraltro gia scandagliato coraggiosamente in Camicie Verdi,
bruciate il tricolore (2006), altro delirante viaggio nella ignoranza di certo produttivo nord dell'Italia che ben si
apparenta con le ideologie di Nazirock, quasi a voler anticipare e a palesare di fatto le
avanguardie politiche poi sfociate nel matrimonio a tre dal sentore diabolico e
disastroso tra Forza Italia, Lega Nord e misteriosi cartelli elettorali
autonomisti poco chiari come la Mpa. Il tutto avallato da molli e complici
alleanze di decadente Sinistra, buone solo per farsi finta alternativa di
governo, a suggello di una celebrazione di riti vetero-democratici
dell'alternanza. Il disegno è più grosso ed inquietante e dispiace quasi
ammetterlo, ma la categoria politica tutta è impegnata in una rielaborazione
delle dinamiche del potere applicato al controllo sulle persone perchè sono
cambiati i mezzi del controllo stesso. A soccombere è soltanto, si fa per dire e come al
solito, il popolino, che va a votare con ipocrita obbedienza ed esercita quasi
ostinatamente il proprio diritto al voto con imbecille ed entusiastica
partecipazione, obnubilata da finte prospettive di una stremata e terminale
crescita economica, e che viene poi opportunamente istruita a comprare, fottere
e produrre: in definitiva ad essere merce di scambio per le categorie di uomini
che, attaccati ad un potere oligarchico prima di tutto mentale e di riflesso
anche materiale, li ritroviamo poi a sorseggiare gustosi cocktail nelle loro
splendide ville sul mare e a discettare di massimi sistemi e controllo delle
merci, magari davanti ad un microfono amico. «La democrazia è la forma
più ammirevole di governo, per i cani», asseriva in Mellonta Tauta il geniale Edgar Allan Poe. E la
vita è fatalmente un eterno e a volte ambiguo compromesso: peccato che questo
compromesso è stato vanificato dalla bramosia di pochi eletti che ne hanno
snaturato volutamente le prerogative, in nome di una propensione ad accentrare
il potere concentrato su poche mani, come a perpetrare la natura di fatto egocentrica
ed affabulatoria dell'uomo, che non perde occasione di esercitare il potere dei
pochi eletti sui tanti sudditi prostrati ed idolatranti. I ragazzi di Nazirock anelano a questa pratica con
evidente sudditanza, e quasi come se fossero orfani di padre invocano una guida
che li sproni a migliorarsi come persone ed a rendere pulita questa società che li delude
profondamente. Pulizia che però sa tanto di desiderio di pulizie etniche (ça
và sans dire), di
ritorno ad un impossibile paradiso perduto fatto di radici pure e candide,
unite ad un ordine di nuova consapevolezza umana fatta di finta compassione e
militare decenza. Vengono i brividi ad ascoltare tutto ciò, lo ripeteremo fino
alla nausea, fermo restando la cristallina e convincente ingenuità degli adepti che si
scontra poi con la pratica dei loro maestri.
Lazzaro
cerca in tutti i modi di non turbare la sensibilità dei protagonisti della
pellicola, si avvicina di persona e con discreta gentilezza ai ragazzi, quasi
timoroso di toccare con mano il fuoco di cotanta bruciante passione, e usa il
mezzo come se stesse girando un filmato per una trasmissione tv qualsiasi: in
effetti non si può parlare di cinema tout-court, ma di approfondito e
coscienzioso documento. Efficace e lineare, temerario anche, visto che altri
media come la tv ed i giornali fanno una gran fatica ad analizzare fenomeni
come questo. Con un finale che, giustamente aggiungiamo noi, si sofferma sulle
foto cadaveriche, impressionanti, degli Ebrei scampati ai campi di
concentramento, accompagnati da un assordante silenzio. Solo questo elemento di
apparente assenza sonora può provare a descrivere e a fermare per un breve istante l'orrore di
questa operazione di annientamento fisico e mentale, dopo la quale è veramente
arduo provare a ricostruire una storia dell'Uomo, con la sua morale ed il senso
di appartenenza alla terra. Dimenticata, violentata, seviziata come un corpus
composto di elementi che si possono riprodurre all'infinito. Dimenticando
invece che non si può ricostruire esattamente ciò che si è distrutto.
Memorizziamo perciò il dimenticatoio della Storia, facciamolo nostro,
portiamolo come un fardello colmo di infinite storie ed apriamo i cassetti
della memoria, senza soluzione di continuità, in loop. L'uso orale della
Storia, quella vera, non potrà mai essere distrutto; potrà forse essere
distorto, ma come la storia stessa dell'uomo ci insegna, non potrà essere mai
sepolto definitivamente.