IN VIAGGIO VERSO GLI ABISSI DELLA MEMORIA
di EUGENIA PRALORAN
Mesmer Vacuum (2008) di Pietro Babina (Teatrino Clandestino)
allegato a
Teatrino Clandestino: Progetto Milgram
a cura di Adriano Zamperini, con scritti di Pietro Babina,
Jonny Costantino,
Chiara Lagani, Simona Lembi, Fiorenza Menni, Adriano
Zamperini,
(Liguori Editore, Napoli 2008)
L'opera
– il mediometraggio realizzato da Teatrino Clandestino e la raccolta di
saggi curata da Adriano Zamperini – rappresenta una summa dello spirito e
del percorso di Teatrino Clandestino sotto forma di un insieme di documenti e
riflessioni corredati da una ricca bibliografia sul lavoro di Stanley Milgram,
cardine dell'evoluzione della psicologia sociale e del cinema scientifico, che
continua ad esercitare una notevole influenza anche in ambito artistico.
Chi era
Milgram? In uno storico questionario, Stanley Milgram scelse di definirsi
"professore e film-maker". Pioniere delle applicazioni della settima
arte in ambito scientifico, era uno psicologo sociale, docente e ricercatore
universitario statunitense della prestigiosa Università di Yale. La sua
attività si svolse principalmente negli anni '60 e '70. Il suo campo di ricerca
riguardava essenzialmente le dinamiche interpersonali, e il suo lavoro più
controverso riguardò la tendenza a conformarsi alle direttive percepite come
provenienti da un'autorità costituita. Intuì che quanto non può essere
documentato efficacemente tramite la parola scritta può esserlo con
immediatezza e precisione tramite filmati. Profondamente appassionato di
cinema,
introdusse la cinepresa nei laboratori dell'università come indispensabile
complemento di documentazione scientifica e condusse approfonditi studi di
regia cinematografica per raggiungere la massima efficacia. Realizzò successivamente
numerosi film basati su un intreccio di situazioni di vita reale ed esperimenti
di psicologia sociale, con lo scopo di documentare attraverso esempi della vita
quotidiana i modelli desunti attraverso la ricerca.
Nel
1961 ebbe luogo il processo contro Adolph Eichmann, uno dei principali ideatori
dell'atroce macchina di sterminio nazista, mentre in tutto il mondo
continuavano ad emergere prove e testimonianze agghiaccianti degli orrori che
si verificano quando l'uomo accetta di straziare l'uomo, aderendo passivamente
a un programma di sterminio come se si trattasse di adempire a un qualunque
protocollo d'ufficio. La giustificazione addotta dalla maggioranza: "Ho
agito obbedendo ad ordini superiori." Nient'altro. Nulla di personale. "Non
potevo oppormi né mettere in discussione ordini superiori...". I burocrati
dello sterminio, ad ogni livello della scala gerarchica, solerti carnefici, a
proposito dei quali Hannah Arendt avrebbe coniato la definizione di banalità
del Male. Uccidere milioni di esseri umani come si timbra un foglio. E migliaia
di fogli furono timbrati per documentare con assoluta precisione lo sterminio
di milioni di esseri umani, enumerati, classificati secondo nascita, numero e
provenienza, torturati e avviati non come persone e neppure come capi di
bestiame, ma come Stücke, "pezzi", scarti da avviare
all'inceneritore. L'opinione pubblica, sgomenta o incredula di fronte
all'orrore, anelava a
prove
della naturale superiorità morale dell'essere umano. Nel 1962 il documentario Obedience, girato nei laboratori di Yale
sotto la direzione di Milgram, sconvolse l'opinione pubblica mostrando in quali
termini tale superiorità esista e si manifesti solo in un numero relativamente
esiguo di individui. Come sempre succede quando viene messo in luce un punto
nevralgico
del sistema si scatenò un vespaio di reazioni, dal diniego alla calunnia, dalla
parodia a fortissime polemiche pubbliche anche da parte di colleghi di Milgram
e di altri autorevoli esponenti dell'establishment.
Stanley
Milgram, fedele figlio dell'utopia americana, ritenne di poter dimostrare
scientificamente che l'essenza dell'animo umano è moralmente elevata, e che
solo una serie di fenomeni aberranti legati a condizionamenti di massa potevano
aver prodotto, ad esempio, i crimini della barbarie nazifascista. Volle
dimostrare che non avrebbe mai potuto esservi altrettanto asservimento e
adesione non solo a un genocidio su scala mondiale, ma
neppure
ad azioni pericolose per un singolo individuo, da parte di una maggioranza di
soggetti sani, dotati di libero arbitrio, cresciuti e vissuti in condizioni
ideali per coltivare solida
indipendenza
di pensiero e senso di responsabilità morale e civile.
Milgram,
fiducioso in un risultato positivo, ideò un progetto sperimentale semplice,
efficace, ben documentabile. Venne reclutato un numeroso gruppo di volontari,
cui il progetto venne presentato come un'innocua ricerca sulle capacità di
apprendimento del singolo individuo. Ogni soggetto veniva introdotto in una
stanza contenente un'apparecchiatura, vistosamente collegata da cavi elettrici
a una poltrona, destinata alla cavia, che poteva trovarsi o meno nella stessa
stanza. Un falso sorteggio assegnava al soggetto il ruolo di
"insegnante" e ad un attore quello di "allievo" (il cui
compito era in realtà di commettere errori e successivamente ribellarsi alla
procedura). L'allievo veniva collegato con elettrodi all'apparecchiatura. Un
altro attore, nelle vesti di ricercatore responsabile del progetto, istruiva il
soggetto dell'esperimento riguardo al protocollo sperimentale. Il soggetto era
così sottoposto ai suggerimenti verbali (nessuna interazione fisica era
consentita) dello "sperimentatore" e alle suggestioni derivanti dalla
macchina e dalle reazioni dell'"allievo". Si trattava di
"punire" con scariche elettriche di
intensità
crescente l'"allievo" ogniqualvolta commetteva un errore nella
sequenza di memorizzazione. L'esperimento si articolava su quattro livelli di
prossimità fra "insegnante" e "allievo", a partire da un
primo livello in cui l'"allievo" era isolato nella stanza adiacente,
in modo tale che al soggetto non giungesse nessun tipo di informazione né
visiva né uditiva; un secondo livello di contatto uditivo; un terzo livello di
contatto visivo e uditivo; fino a un quarto livello di contesto prossemico in
cui l'"insegnante", seduto accanto all'"allievo", aveva il
compito di spingere personalmente il braccio della cavia su una piastra
metallica per somministrare la scarica punitiva. Prima di iniziare, il soggetto
veniva invitato a sperimentare su di sé una scarica di bassa intensità come
prova della reale funzionalità dell'apparecchiatura.
Le
condizioni sperimentali, comprendenti uno scenario adeguato e simulazione da
parte di attori, creavano un clima di pressione psicologica atto a indurre il
soggetto dell'esperimento a compiere azioni chiaramente percepite come dolorose
e potenzialmente pericolose per la cavia.
Stanley
Milgram ipotizzò che la stragrande maggioranza si sarebbe rifiutata di premere
i pulsanti dell'apparecchiatura, soprattutto di fronte alle reazioni delle
cavie. Invece per il primo livello il 65%, per il secondo il 62,5%, per il
terzo il 40% e per il quarto il 30% dei soggetti applicò il protocollo fino
agli stadi finali della simulazione, fino alle condizioni di (presunto)
rischio
mortale per la cavia, nonostante proteste, urla, lamenti, convulsioni, fino al
silenzio che poteva teoricamente indicare il decesso della vittima. Eventuali
esitazioni scomparivano generalmente dopo ordini e rassicurazioni riguardo alla
legittimità della procedura da parte del "direttore del progetto".
Milgram
produsse, contrariamente alle sue aspettative, una delle più schiaccianti prove
scientifiche della facilità con cui un individuo tende a sottomettersi
passivamente a qualsiasi forma di autorità percepita come
"superiore", violando completamente eventuali principi morali,
soprattutto quando la vittima si trova altrove, e quindi non viene percepita
come tale, e
il
soggetto non assiste direttamente alle conseguenze delle sue azioni. Nella
maggior parte dei casi né cultura, né posizione sociale elevata, né altri
primati di alcun genere di cui i soggetti di Milgram potessero essere dotati li
resero capaci di opporsi alla volontà dello "sperimentatore", che li
incoraggiava ad agire "perché non è possibile interrompere la procedura e
invalidare il protocollo". Solo una percentuale relativamente ridotta di
individui interruppe l'esperimento quando ritenne di poter nuocere alla cavia,
o perché prese atto del rifiuto della cavia a proseguire l'esperimento. Si
trattava di individui molto diversi fra di loro sul piano sociale, economico e
anagrafico. Nulla li accomunava tranne la convinzione di non voler nuocere ad
altri,
e di non volersi sottomettere in alcun modo a direttive percepite come
ingiuste.
I
risultati dell'esperimento turbarono a tal punto l'opinione pubblica che una
vera e propria campagna di diffamazione venne attuata contro Milgram e il suo
lavoro. Milgram stesso fu profondamente turbato dagli esiti dell'esperimento.
Nell'utopia americana affamata di benessere e di eroi positivi a tutto tondo
era inaccettabile un modello comportamentale universale di essere umano
potenzialmente pericoloso in quanto manipolabile da parte di qualsiasi soggetto
percepito come autorità costituita, o comunque dotato di sufficiente ascendente
in un determinato contesto.
I buoni
siamo noi. I cattivi sono gli altri e comunque non io, io non c'ero,
io non
farei mai queste cose... Non io. Ma tu dov'eri? Ci chiede la voce fuori campo
in Progetto Milgram. Tu dov'eri? Giorni fa un sedicenne romano ha aggredito a pugni un
passante di origine cinese, fratturandogli denti e setto nasale, al grido di
"sporco cinese". Il padre, incredulo, si chiedeva di fronte ai
cronisti "Chi può avergli detto di fare una cosa del genere a qualcuno che
lui nemmeno conosceva?". Tu dov'eri? Chi ti ha detto di farlo? Chi te l'ha
fatto fare? E tu perché l'hai fatto? E l'arte in tutto questo?
Per
Eugen Drewermann, uno dei teologi cattolici più famosi e controversi della
nostra epoca, è sempre necessario mettere in discussione "la diffusa
tendenza a dar retta a chiunque indossi una tonaca, un collare o un'uniforme di
qualsiasi tipo (...). Il primo problema non è tanto la questione della
non-violenza, quanto la mortificante sfiducia nei nostri confronti e l'ignobile
disponibilità
a dar ragione a chiunque". Alla radice del fenomeno, che si rinnova in
ogni epoca, l'oceano delle eterne paure individuali e collettive: paura del
diverso, del cambiamento, dell'ignoto, della perdita, dell'instabilità economica,
sociale, politica, del dolore, della morte, della fame, della guerra... A
questo proposito Teatrino Clandestino crea la metafora poetica "giacimenti
emozionali". Drewermann cita il manifesto di Wolfgang Borchert (1947):
"’Tu, uomo al banco di lavoro, se ti ordinano di fabbricare non pentole e
tubazioni, ma fucili ed elmetti d'acciaio, rispondi di no. Tu, madre, se ti
ordinano di generare figli, le femmine per gli ospedali da campo e i maschi per
nuove battaglie, rispondi di no. Tu, parroco sul pulpito, se ti ordinano di
benedire la guerra e santificare l'assassinio, rispondi di no.' Il coraggio di
rifiutare l'inevitabilità della violenza costituisce il primo passo per
eliminarla dalla vita pubblica."
Il
mediometraggio Mesmer Vacuum di Teatrino Clandestino nasce da un lampo di autentica
ispirazione poetica. Alla fine del percorso echeggia ripetutamente una domanda:
tu dov'eri? E potremmo aggiungere: tu dove sarai? Dov'è l'orrore in te, il
serbatoio nascosto di cui non possiamo ignorare l'esistenza? Il laboratorio di
Stanley Milgram è stato smantellato, ma l'eco
dei
risultati del suo lavoro non può spegnersi. La bestia non dorme, va tenuta a
bada, non dobbiamo dimenticarne l'esistenza, per impedire che l'orrore si
ripeta o perlomeno per non illuderci che la cosa non ci riguardi da vicino solo
perchè i fatti si verificano in altri paesi. Ogni volta che una donna viene
lapidata, un lavoratore immigrato massacrato unicamente perchè straniero, un
uomo impiccato senza processo, un orfanotrofio arso con i bambini nelle aule,
un
quartiere bombardato con armi al fosforo, campi fertili imbottiti di mine
antiuomo o di proiettili all'uranio impoverito, ogni volta la cosa ci riguarda.
Accadde a Cartagine, toccò a Sant'Anna di Stazzema, oggi a Baghdad e a Roma. Tu
dov'eri? Tu sapevi? Occorre piena consapevolezza del fatto che a monte
della loro deriva criminale tutti i carnefici di ogni tempo erano e sono esseri
umani come noi. E soprattutto, ricordare che la storia si ripete quando non la
si conosce e non la si affronta con cognizione di causa.
Si
comincia quindi dal dovere della memoria, dell'informazione, della riflessione
su quanto è accaduto e che continua a declinarsi ovunque, sulla storia
universale della violenza e della sopraffazione. Non abbiamo il diritto di
distogliere lo sguardo, perchè la storia ci riguarda, la storia siamo noi,
siamo parte della memoria collettiva dell'umanità, e ciò che giace nei profondi
giacimenti della memoria non è perduto, ma dev'essere affrontato, inseguito per
vie tortuose
fino a
che si possa risalire in superficie con le idee più chiare. Il mostro in
agguato forse non è altro che il custode della memoria e non ci divorerà se
sapremo affrontarlo; come nelle fiabe, se sapremo scendere nella sua tana
scopriremo che siamo in grado di seguirlo fino all'ultima stanza, dove la
rivelazione dell'orrore si trasforma in premessa su cui costruire un destino
diverso.
La
natura più profonda dell'uomo è comunque per la vita, pulsione di vita. È
questione di scelte educative, politiche, morali e sociali indirizzare la
tensione di tutti verso la costruzione e non verso la sopraffazione, il cammino
più difficile ma l'unico che possa assicurare che l'umanità rimanga a galla
sulla zattera che si fa sempre più piccola in un oceano sempre più agitato.
L'orrore
esiste da sempre, ma anche una possibilità di salvezza. Emblematica l'ambiguità
dell'immagine finale in cui una donna, la protagonista, Brigit, reduce (forse?)
dal viaggio nell'orrore della memoria, gioca con un bambino sconosciuto: non ci
è dato conoscere l'esatta estensione della parte delle tenebre e della parte
della speranza in ognuno, ma ci è dato affrontare la lotta a occhi aperti. La
parte dell'arte in tutto questo? Teatrino Clandestino e i suoi collaboratori
con Mesmer Vacuum e Progetto Milgram ci offrono un esempio d’impegno nella riflessione e nella
creazione.