ELLROY, IL CINEMA E LA TEORIA
DELLA COSPIRAZIONE
Paranoia americana e incubi
della soggettività
Giuseppe Panella
L’argilla
è immobile, ma il sangue è randagio;
il respiro è merce che non si conserva.
In piedi,
ragazzo: quando il viaggio sarà finito
ci sarà tutto il tempo per dormire.
Alfred
Edward Housman
1. L’orrore e l’estasi: Ellroy, la letteratura e il cinema
Al centro dell’immaginario collettivo americano è
da sempre presente (e ricorrente di secolo in secolo con modalità spesso diverse ma sostanzialmente e ricorsivamente simili) una teoria del
complotto intesa come forma di lotta politica radicale e definitivamente
distruttiva della ragione stessa di essere del Paese. Attraverso la sua
scoperta e la necessità di smascherarne gli autori e i complici che ne consegue, lo sforzo di salvare i principi fondamentali su
cui si basano la cultura e la libertà americane è visto come un atto (o una
serie di atti) che giustificano qualsiasi forma di illegalità e prevaricazione
eseguite proprio in nome di esse. Complotto centrale nella più recente storia
degli USA sarà quello ordito per uccidere Kennedy e sarà proprio James Ellroy
in un romanzo – American Tabloid, che inaugura la cosiddetta
“Trilogia americana” – a cercarne le radici profonde. Non solo la morte
di John Kennedy (come poi quelle di Martin Luther King e di Robert Kennedy) saranno però al centro
dell’ossessione cospiratoria di Ellroy, quanto tutta la storia americana del
Novecento e anche quella sua stessa personale e letteraria. Ellroy sembra essere
finito nel centro di una ragnatela la cui vittima principale è naturalmente lui
stesso. Non è un caso che The Black Dahlia (a
tutt’oggi il suo best-seller più riuscito e più intenso) sia dedicato
alla memoria di sua madre – «A Geneva Hilliker Ellroy (1915-1958). Madre:
ventinove anni dopo, queste pagine d’addio in lettere di sangue».
La peculiarità dell’opera dello scrittore
californiano è tutta legata all’opera di accorto montaggio delle vicende della
sua vita: quanto in essa vi sia di sincero omaggio alle sconcertanti
circostanze della sua nascita come romanziere e quanto di essa sia, invece, il
frutto di una ben orchestrata strategia narrativa bisognerà dedurlo da un pur breve esame della sua vita passata e dalle
situazioni esistenziali in cui si è trovato. Dopo l’assassinio rimasto finora
insoluto della madre (una donna promiscua e molto sfortunata nella scelta dei
propri partner), inizia un percorso che lo porterà prima alla vita randagia
dell’outsider e del piccolo criminale e poi alla letteratura di genere.
Facendo tesoro della “vera” eredità lasciatagli dal padre (la passione per i
romanzi polizieschi basati sulla psicologia dei personaggi e non tanto sul
corretto funzionamento del meccanismo di precisione dell’indagine
poliziesca), Ellroy esordisce positivamente con Brown’s Requiem, un thriller pubblicato nel 1981. Da allora, la sua attività non
avrà soste: nel 1982 esce Clandestino, premiato con una segnalazione
della giuria del prestigioso Edgar Allan Poe Award;
nel 1984 scrive la prima parte della Trilogia idealmente dedicata alle storie
del detective corrotto ma moralmente inquieto Lloyd Hopkins (Blood on the
Moon, banalmente tradotto in Italia con l’assai meno suggestivo titolo di Le
strade dell’innocenza); la prosegue, sempre nel 1984, con Perché la
notte e la conclude, nel 1986, con La collina dei suicidi. Da Blood
on the Moon, più riduttivamente intitolato The Cop,
James B. Harris trarrà nel 1988 un film con James Woods e Lesley Ann Warren in cui le vicende del sergente Hopkins sono trasformate in un alternarsi
di momenti di sesso e di sangue senza troppo collegamento gli uni con gli altri e con
il romanzo originario (il titolo italiano è diventato Indagine ad alto
rischio).
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