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L’AMERICA DI MAI

Daniela Peca

 

John Ford sa di che cosa è fatto il mondo.

Orson Welles

Un film di John Ford è qualcosa di stratificato. Con una metafora ardita si potrebbe paragonare un’opera qualunque del regista a quella macchina per eccellenza in cui coesistono la perfezione e l’imperfezione, una scocca, un motore, un carburante e la scintilla incendiaria che gli dà vita: il corpo umano. Se praticassimo un’incisione nel corpo dell’opera di Ford vedremmo che è qualcosa che non solo si sviluppa in profondità ma che è da quel muscolo che comunemente e per convenzione di linguaggio si è soliti localizzare il sentimento che nasce il suo lavoro: il cuore, la macchina vitale, quella da cui parte ogni spinta alla creazione poiché non c’è atto creativo se non c’è respiro. Ha la consistenza di un corpo umano e come esso si presenta in un modo che si offre per primo all’occhio, al soddisfacimento dello sguardo inteso come semplice atto del vedere, poi però, sotto lo strato più superficiale, sotto la pelle, stanno i muscoli dell’opera, la forza della maestria del regista nell’usare la macchina da presa; sotto ancora vive la storia, il sangue che scorre, le azioni e i movimenti di un uomo o di un popolo, gli spostamenti dei personaggi nello spazio del set, della vita riprodotta. La storia innanzitutto sembra dire il regista ogni volta che qualcuno ha osato disturbarlo con le sue domande, così in ogni tempo del suo cinema, che ha attraversato e contribuito a edificare l’immaginario di un intero secolo nonché a rendere in immagini il sentimento di quello precedente, e in fondo sempre lo stesso. La storia, la Storia, le peripezie dei protagonisti, il loro vagare, le relazioni che intrecciano, l’intrecciarsi degli sguardi, la terra come unica sicurezza. Non stupisce l’attrazione di John Ford verso la storia, storia di vite s’intende, fatti del quotidiano che delle volte si trasformano in avvenimenti, gesti memorabili. Poiché gli accadimenti di tutti i giorni segnano il volto e giustificano le azioni, poiché Ford sa bene come il quotidiano non sia mai banale e che i gesti eroici sono lo sfogo di una tensione che si accumula nel tempo, di un sentimento coltivato giorno dopo giorno nutrito da una memoria che lo precede nel grembo materno che gli ha dato vita, che è ancestrale, è la vita del padre e della madre, del popolo e della nazione. Considerare la vita quotidiana dal punto di vista dell’eternità – come sostiene Joseph McBride a proposito di Ford – è quella forza che ha permesso al suo cinema di valicare l’oceano sebbene il regista si sia spesso servito di quel genere che Andrè Bazin definì il cinema americano per eccellenza, il western.

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