AVA TWIRLING, NYC DI NAN
GOLDIN
Federico Ferrari
Il
bambino
Il
bambino danza, ruota su se stesso, non può fermarsi. D'altronde, perché
fermarsi se si può continuare a girare, se il movimento dà alla testa? Perché
dovrei fermarmi, se non sono nemmeno più io a girare ma è la stanza, il mondo,
che gira intorno a me?
Il
bambino sa di essere guardato e l'essere visto dà gioia, quanto il farsi vedere, quanto il dare a vedere. Il bambino recita, ma il
suo recitare non ha distanza: è tutto dentro al suo ruolo, al suo essere tutto fuori di sé, fuori del baricentro della sua indentità. Come l'immagine che non ha interiorità ma è completamente visibile, anche il bambino è completamente esposto sulla sua
superficie luminosa. Il bambino è il luogo dell'immagine, è la sua apertura, è
l'istante in cui l'immagine infante (senza parole) si
stacca dal mondo per divenire altro, altro mondo, mondo al quadrato.
L'immagine
del bambino non mente. Commuove perché è spoliata di ogni finzione, perché tocca la vita stessa, l'emozione senza senso che ognuno di noi ha provato e che
ritrova, ogni volta di nuovo, come se fosse stata appena sentita e riapparisse,
improvvisamente, proprio nel bambino colto dall'immagine, in quel bambino che
non sono più e ch’eppure è identico a me. Tutto è ancora lì in quella vita agli albori e nell'immagine che, per sempre, tiene in vita
quell'emozione iniziale. Tutto è ancora in quel
bambino di cui conosco il presente, il passato e il futuro.
[…]