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CARTA KUBRICK

La pubblicità di Kubrick

 

Emanuele Donadio

 

È nota la spasmodica attenzione del regista Stanley Kubrick (nato nel 1928 e morto nel 1999) alla chiusura filologica del proprio testo filmico: i tempi biblici di lavorazione, impensabili per qualsivoglia sistema di produzione cinematografica; l’assoluta invisibilità mediatica; l’operare sempre con lo stesso gruppo ristretto di persone fidate, spesso famigliari; la trasformazione della propria casa in ufficio; il non mostrare a nessuno dei premontati; la distruzione del girato scartato... Ebbene Kubrick, sostanzialmente da sempre, ha anche curato più o meno direttamente i materiali promozionali dei propri film, che quindi assumono la connotazione di creazione kubrickiana.

Una conseguenza della leggendaria indipendenza di Kubrick è il controllo assoluto di ogni fase della vita del film. Praticamente, Kubrick è il produttore (per conto di proprie e altrui società di produzione) di tutti i suoi lungometraggi (eccetto il film su commissione Spartacus) e del suo primo cortometraggio. Cioè: il suo lavoro continua con la stessa forza del regista per quel che concerne la produzione, la distribuzione e (ciò che qui interessa) la commercializzazione dei suoi film. Qui c’è il primo paradosso tipicamente kubrickiano, paradigmaticamente sintetizzato dalla sua origine: è nato, vissuto e ha lavorato negli Stati Uniti d’America, a cui tutti i suoi film sono riferiti nel contenuto e nei mezzi. Da Arancia meccanica, le sue opere sono prodotte e distribuite da una delle più grandi società cinematografiche del mondo, la statunitense Warner Brothers, che, pur di averlo nella propria scuderia, gli concesse questo potere assoluto unico nella storia del cinema. Tuttavia, da Lolita ha realizzato i suoi film in Europa, dove ha vissuto dai tempi di Arancia meccanica. È pacifica la valenza di opera d’arte di ogni suo film e la propria intransigenza verso qualsiasi compromesso autoriale (per convenzione: l’artista autore europeo). Va però considerata la prospettiva di una nuova ontologia dell’opera d’arte, secondo la quale l’opera trova una sua componente essenziale nella distribuzione, in quanto ne garantisce l’essere all’interno della società, sulla quale infatti incide, dimostrando così di essere viva. Il film continua a vivere in una serie di passaggi e l’infinità delle sue possibili ricezioni determina l’inevitabile continuo rigenerarsi e fraintendersi del testo filmico con ciò che gli sta attorno. In altre parole, è costante l’attenzione a onorare quel patto tra istanze produttive e istanze ricettive, la continua porosità tra interno ed esterno dell’opera, tra opera e contesto, tra testo e paratesto, dunque il rapporto col pubblico, l’attenzione al mercato e all’industria cinematografica convenzionalmente riferita agli Stati Uniti d’America, nonché la permeabilità dell’opera col mondo desiderante dello spettatore, la vita comunicativa dell’opera, e strumento materiale di ciò sono gli epitesti o paratesti promozionali del film.

 

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