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BREVE VIAGGIO NELL’IMMAGINARIO DEL CINEMA WESTERN

 

Massimo Scalvini

 

 

Tra le manifestazioni culturali e di costume dalle quali trae origine il cinema western, sicuramente ci sono quella letteraria e quella pittorica. Tutti i più importanti autori, da Fenimore Cooper passando attraverso i vari Mark Twain e Bret Harte arrivando fino a Zane Grey, Owen Wister ed Ernest Haycox, hanno contribuito a fornirgli soggetti e spunti storici. Lo stesso discorso vale per artisti come Charles Bodmer, Alfred Jacob Miller, George, Catlin,

Thomas McKenney, come Frederic Remington e Winslow Homer (basterebbe pensare all’importanza di questi due autori per John Ford [1] ), o ancora Charles Marion Russell, Thomas Moran, Charles Schreyvogel. Ma esistono anche altri aspetti che contribuiscono alla nascita del genere, che concorrono a crearne non solo l’immaginario ma anche le ragioni culturali e storiche del suo grandissimo successo. Nel 1893 si svolge a Chicago la “World Columbia Exposition”. In quell’occasione, il 12 luglio, Frederick Jackson Turner lesse il suo testo più famoso: Il significato della frontiera nella storia americana [2] . Un testo in cui si ribalta il concetto tradizionale di frontiera come di una barriera di fronte alla quale fermarsi. Secondo Turner, per gli americani la frontiera è qualcosa di mobile, un punto di partenza e non di arrivo [3] . Questo atteggiamento è profondamente radicato nello spirito dei pionieri, ed è questo modus vivendi che rappresenta la novità della neonata nazione americana. Il western incarnerà questo spirito, e diventerà il nuovo potenziale genere “epico” per gli americani [4] .

Sul piano politico, l’uomo di riferimento fu sicuramente Theodore Roosevelt. Attivo fin dal 1881, fu vicepresidente di McKinley, e nel 1901, in seguito all’assassinio di quest’ultimo, divenne presidente per occupare tale carica fino al 1908. Roosevelt fu il tipico uomo dell’Est che frequenta le badlands del Dakota per temprare il proprio fisico e il proprio morale, diventando come un pioniere o gli ammirati cowboy e cacciatori; convinto imperialista, fu assertore della superiorità occidentale, in particolare anglosassone, testimoniata dalla tendenza di quest’ultima a invadere il mondo. L’eroe della frontiera è il colono-guerriero, tipico rappresentante di una razza dominatrice; imperialismo per lui significava legge, ordine e civiltà portate da una razza superiore a razze primitive.

 

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[1] Cfr. F. Troncarelli, Le maschere della malinconia. John Ford tra Shakespeare e Hollywood, Edizioni Dedalo, Bari 1994, soprattutto per quel che riguarda l’influsso di Homer su John Ford.

[2] F. J. Turner, Il significato della frontiera nella storia americana, in La frontiera nella storia americana, introduzione di M. Calamandrei, Bologna, Il Mulino 1959.

[3] «Lo sviluppo sociale americano è stato un inizio continuo, un punto di partenza sempre nuovo, su una frontiera mobile»; «La frontiera è la linea dell’americanizzazione più rapida ed effettiva. La grande distesa solitaria domina il colono, s’impadronisce del suo animo», ivi, pp. 32-33.

[4] «È innegabile che, sia pure nella limitatezza dei suoi presupposti, il western è un tipo di cinema che aspira [corsivo mio, ndr] all’epica. Il suo eroe, pioniere o cowboy, sempre costruito da un “dover essere” e rappresenta molto spesso il destino di tutta una collettività; è anch’esso privo di una problematica interna e destinato a trionfare sulle forze demoniche che nel caso specifico sono rappresentate da tutti i nemici della nuova civiltà: gli indiani e i fuorilegge. Manca però nella maggior parte dei casi all’eroe del Western un tratto fondamentale dell’epica secondo Lukàcs: la fede nella trascendenza. […] In effetti l’eroe del West agisce in nome di principi morali affermati personalmente, o in nome delle leggi di una comunità che egli viene a rappresentare. I suoi ideali hanno sì valore assoluto, ma nessuna trascendenza e il divino è sempre assente. […] Negli antichi poemi epici non vi sono situazioni contrastanti dal punto di vista sociale e morale. […] In America il contrasto è stato posto dalla storia stessa nel modo più brutale e immediato: il capitalismo della Francia e dell’Inghilterra distrusse fisicamente e moralmente la società gentilizia degli indiani, rimasta per secoli quasi immutata», R. Campari, Western. Problemi di tipologia narrativa, Quaderni dell’istituto di storia dell’arte, Parma 1970, pp. 39-40.

 

 
 

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