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MAURI: AZIONE DI / SU PASOLINI

 

Miguel Ángel Cuevas

 

PASOLINI

Erano i primi anni settanta. Io ne avrò avuto quattordici. Prendendo nei confronti del regime le dovute distanze, che gli avrebbero permesso alla morte del dittatore di continuare a gestire il loro capitale sociale – occupando quindi calcolatamente, forse in alcuni casi anche sinceramente, posizioni d’avanguardia culturale e civile – alcuni preti illuminati, da bravi strateghi, organizzavano dei cineforum alquanto impegnati.

 

Piuttosto per caso, sono capitato in uno di essi. Nella stessa settimana ho visto, non ricordo in quale ordine, Edipo re e Medea. Pier Paolo Pasolini era ancora vivo, e paradossalmente nella Spagna franchista i suoi film non soffrivano i sequestri a cui invece non di rado venivano sottomessi nell’Italia democristiana.

 

Ne restai abbagliato: dai raggi del sole che colpivano la macchina da presa (a spalla) dell’operatore nella sequenza della morte di Laio: dalla smisurata bellezza, dal pallore del volto di Silvana Mangano, dallo smarrimento negli occhi di Giocasta. Mi si paravano davanti delle immagini che turbavano, con la loro fisicità, la mia.

 

Ne restai stordito: dall’incalzare dei crotali nel rito orgiastico della sacerdotessa Medea, dall’urlo lancinante di Maria Callas tra le stoppie incendiate prima di compiere il tradimento e consegnare a Giasone il Vello d’oro.

 

Era cinema quello che vedevo? Per me, ne fu la scoperta.

 

[…]

 

 

 
 

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