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PER NAPOLI

 

UN’ESCURSIONE NEL CINEMA URBANO DI CAPUANO, DE LILLO E MARTONE

 

Federica Iacobelli

 

 

Sempre Napoli evoca un eccesso di immagini che non dicono mai la verità. Non la dicono quando sono cronaca, nuda, cruda, reale. Non la dicono nemmeno quando ci si sta dentro, immersi e sommersi, e non si distinguono più il corpo e la sua rappresentazione. Forse per questo è difficile far vedere Napoli a chi ti passa accanto e non la conosce. Per la mia Napoli si viaggia davvero soltanto attraversandola in sezione, o in prospettiva: come su un tavolo bianco da disegno, o sullo schermo del cinema.

Quando ero piccola, raggiungevo di tanto in tanto il palazzo dove il fratello di mia nonna paterna aveva studio. Sui grandi fogli di carta traslucida i segni sottili di matita erano geometrie che in uno schizzo, in una veduta o in un progetto ricreavano ora la piazza dove passeggiavo facendo colazione con le paste, ora la chiesa visitata con mio padre dopo il terremoto dell’Ottanta, ora le stanze di un appartamento che assomigliava a molti fuorché a questo. Si trovava, lo studio, in un palazzo antico chiamato con il nome di una donna, Donna Anna, e levava le sue pietre di tufo non dalla terra ma dal mare che dal piccolo porto di Mergellina lambiva i piedi della collina Posillipo. Nel mare, non sulla terra, parevano stare le sue fondamenta. Dal labirinto di tavoli inclinati, di tanto in tanto raggiungevo una finestra grande e sempre aperta da cui sporgendomi sentivo gli spruzzi delle onde e toccavo uno scoglio e una barchetta pronta a partire per il largo. Di fronte c’era acqua e cielo e basta. Solo di lato compariva sfocato un promontorio o la forma di un’isola del golfo. Dov’era la città? Non c’era più. Da lì, affacciata, vedevo solo le spiagge e le scogliere che circondavano il palazzo galleggiante. Dietro restava, certo, ed era immensa e intricata, come sempre. Ma da quel punto poteva essere tutto e pure altro, non più una città ma un grande bosco, addirittura una foresta, fatta di case e strade in superficie e poi di orti e di giardini sotterrati.

 

[…]

 

 

 
 

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