rifrazioni dal cineama all'oltre
 

www.rifrazioni.net /cartaceo/rifrazioni 6/estratti/linee

 

 

 

ARISTEO A BANGKOK

 

su  Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (2010)

di Apichatpong Weerasethakul

 

Manfred Giampietro

 

 

La trama di Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti è presto detta, nella sua “semplice cripticità”: il protagonista, affetto da disfunzione renale, sceglie di passare l’ultima fase della sua vita in una casa di campagna, circondandosi delle persone alle quali più tiene; gli appaiono, sotto forma fantasmatica, la moglie defunta ed il figlio perduto, che ora ha assunto sembianze ambiguamente scimmiesche. Egli riflette, con i suoi cari, sulla sua vita e su ciò che lo attende (un episodio memorabile – e difficilmente collocabile narratologicamente – racconta di una principessa che, in acque lacustri, copula con una divinità marina), prima di incamminarsi con loro verso una grotta che, una volta raggiunta, ne accoglie la morte. Il film lascia spazio a un’ultima digressione sulla “vita civile” della cognata e del nipote di Boonmee, al termine della quale essi stessi sembrano diventare fantasmi, prima che la pellicola si chiuda definitivamente con una sequenza di immagini fisse: foto di soldati. Tutto qui; per quanto riguarda i luoghi del film (il nordest thailandese), essi appartengono all’autobiografismo del regista, che forse ha realizzato il suo film sinora più coinvolgente sul piano del vissuto individuale (il padre di Weerasethakul è morto della stessa malattia renale di Boonmee). Abbandonando il dato squisitamente narrativo, va subito detto che Weerasethakul ci restituisce l’immagine di un mondo che non ha paura di convivere con la morte: spettro angosciante per gli occidentali, essi preferiscono esorcizzarla con l’ausilio delle “violenze-balletto” tarantiniane, sradicati come sono, ormai, da un approccio umanistico al reale che anche l’Europa sta finendo per rigettare – si pensi, ad esempio, al cinema spagnolo o francese degli ultimi anni, grandemente influenzato dall’immaginario statunitense del “film-genre” (come lo definirebbe Rick Altman). Anche il grande Kim Ki-Duk delle prime opere, come peraltro quello della maturità, abbraccia un materialismo che poco spazio lascia al culto dei defunti, là dove il regista thailandese finisce per effettuare un’operazione che si potrebbe quasi osare di definire foscoliana, con il suo legame sentimentale intessuto tra “i vivi e i morti” (non si leggano qui allusioni cormaniane) che emerge dal film. Infatti, l’aspetto più affascinante di questo cinema è probabilmente la sua capacità di conciliare ossimoricamente, in una sorprendente ed inaspettata sintesi, una dimensione favolistica di indubbia forza evasiva con l’allusività al contesto storico e politico-sociale. Weerasethakul riesce cioè ad essere un cineasta “impegnato” ed al contempo un affabulatore di grande candore.

 

[…]

 

 

 
 

- i n f o @ r i f r a z i o n i . n e t -