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LA MORTE E IL MUGO

 

Valentina Giovanardi

 

 

Mercoledì 18 agosto, a mezzanotte,

davanti a L’arcipelago della morte,

un documentario di Giorgio Fornoni

 

 

C’è un vecchio, un uomo di nome Grigorij Pomeranc. Quest’uomo seduto su una poltrona parla e guarda dritto davanti a sé. Dice che in tutta la sua vita ha sempre guardato dritto in faccia il suo destino.

Ci sono tre croci pesanti e scure distanti 50 centimetri l’una dall'altra e sono conficcate nella terra in qualche punto di una precisa tundra nell'estrema periferia del mondo.

C’è la neve, tanta neve, e ghiaccio, raffiche di vento gelido e bufere e tutto sembra solo bianco. Invece poi, dei piccoli punti neri si muovono, sono puntini di uomo nella dissolvenza bianca.

Il vecchio racconta storie inascoltabili, eppure le sue parole escono fiere e generose. La sua immobilità è gelida come quell’accecante bianco, le sue parole son di fuoco.

Questo film l’ho già visto.

 

Il vecchio mi sputa in faccia la sua saliva congelata e mi accarezza subito dopo avermi lapidata. Il vecchio conosce la vita ma ancor meglio la morte e sorride perché sa di aver vinto in premio la vecchiaia, anche se sa bene che è un premio di consolazione.

Il vecchio sa che cosa è il male e ne conosce l’origine. La sua bocca si apre veloce e si allarga disegnando profili e mappature, così tutto sembra chiaro. In un istante sento di aver capito tutto, di aver compreso la vera natura del male assoluto. È semplice, alla fine è talmente semplice che questa semplicità penetra facilmente in ogni atomo del mio corpo e lo fa esplodere. Il divano sul quale sono seduta mi assorbe come una gigante spugna. Liquefatta, spappolata, ridotta acqua e brandelli di carne, rimango davanti a quel vecchio.

Questo film lo conosco bene.

 

 

 
 

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