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L’ANTROPOLOGIA VISIVA DA MAREY E MUYBRIDGE

ALLA FOTODINAMICA FUTURISTA

Massimo Centini

 

Un secolo di Futurismo ha lasciato tracce importanti nella nostra cultura e forse anche nel nostro immaginario. È universale la memoria della presentazione del Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Martinetti il 5 febbraio 1927 sulla “Gazzetta dell’Emilia” e il 20 dello stesso mese su “Le Figaro”, ma pochi ricordano che, a Torino, nel 1909, presso il Teatro Alfieri, Filippo Tommaso Marinetti lesse, per la prima volta pubblicamente, il Manifesto del Futurismo.
duchamp

Poco più di un anno dopo, presso il Teatro Chiarella, venne presentato il primo Manifesto della Pittura Futurista. Torino fu ancora palcoscenico per la poetica futurista nel 1927 quando sul quotidiano “La Gazzetta del Popolo” venne pubblicato il Manifesto Futurista dell’Aeropittura. Qualche anno dopo, nel dicembre 1930, “La Gazzetta del Popolo” pubblicò il Manifesto della Cucina Futurista a firma di Marinetti e nel 1931 il Manifesto dell’Arte Sacra Futurista.

Mai completamente affrancatosi dallo stereotipo di “arte fascista”, il Futurismo costituisce una traccia di grande interesse antropologico all’interno del linguaggio evocativo caratterizzante l’arte moderna.

La storia è schizofrenica e segue un andamento non sempre lineare: riflette l’atteggiamento degli uomini, più spesso la loro ambiguità. Ma a noi che importa se il Futurismo “è di destra o di sinistra”? A noi sembra una geniale combriccola di teste pensanti che ha segnato il palcoscenico della cultura del secolo più “veloce” della storia.

Accanto a Martinetti, che di fatto è stato il deus ex machina del movimento, fecero la loro comparsa Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e poi altri: in questo modo il Futurismo assunse una fisionomia pienamente artistica poiché, non dimentichiamolo, era nato come fenomeno più letterario e di pensiero. Anche ideologico, comunque diretto a smantellare l’accademismo e la tradizione borghese. Va detto che fu certamente il coinvolgimento delle arti, tutte, a dare al Futurismo la possibilità di consolidare ed esprimere a tutti i livelli un processo innovativo che non aveva ancora saputo – o non ne aveva l’intenzione – individuare il proprio indirizzo poetico.

In fondo i futuristi, senza saperlo, sono stati anticipatori, quasi profeti. Hanno annunciato il trionfo della velocità, come parte della cultura, componente quasi fondamentale dell’esperienza umana della seconda metà del Novecento.

E che dire della Cucina futurista, vera e propria anticipazione della nouvelle cousine? E la fotodinamica di Bragaglia: che lascia intravedere le molteplici opportunità della “giovane” arte fotografica?

 

 
 

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