Poco più di un
anno dopo, presso il Teatro Chiarella, venne presentato il primo Manifesto
della Pittura Futurista. Torino fu ancora palcoscenico per la poetica futurista nel 1927
quando sul quotidiano “La Gazzetta del Popolo” venne pubblicato il Manifesto
Futurista dell’Aeropittura. Qualche anno dopo, nel dicembre 1930, “La Gazzetta del Popolo”
pubblicò il Manifesto della Cucina Futurista a firma di Marinetti e nel 1931
il Manifesto dell’Arte Sacra Futurista.
Mai
completamente affrancatosi dallo stereotipo di “arte fascista”, il Futurismo
costituisce una traccia di grande interesse antropologico all’interno del
linguaggio evocativo caratterizzante l’arte moderna.
La storia
è schizofrenica e segue un andamento non sempre lineare: riflette
l’atteggiamento degli uomini, più spesso la loro ambiguità. Ma a noi che
importa se il Futurismo “è di destra o di sinistra”? A noi sembra una geniale
combriccola di teste pensanti che ha segnato il palcoscenico della cultura del
secolo più “veloce” della storia.
Accanto a
Martinetti, che di fatto è stato il deus ex machina del movimento, fecero la
loro comparsa Balla, Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e poi altri: in questo
modo il Futurismo assunse una fisionomia pienamente artistica poiché, non
dimentichiamolo, era nato come fenomeno più letterario e di pensiero. Anche
ideologico, comunque diretto a smantellare l’accademismo e la tradizione
borghese. Va detto che fu certamente il coinvolgimento delle arti, tutte, a
dare al Futurismo la possibilità di consolidare ed esprimere a tutti i livelli
un processo innovativo che non aveva ancora saputo – o non ne aveva
l’intenzione – individuare il proprio indirizzo poetico.
In fondo
i futuristi, senza saperlo, sono stati anticipatori, quasi profeti. Hanno
annunciato il trionfo della velocità, come parte della cultura, componente
quasi fondamentale dell’esperienza umana della seconda metà del Novecento.
E che
dire della Cucina futurista, vera e propria anticipazione della nouvelle
cousine? E la fotodinamica di Bragaglia: che lascia intravedere le molteplici
opportunità della “giovane” arte fotografica?