IL RACCONTO CINEMATOGRAFICO
DELLA STORIA IN MICHAEL HANEKE
Raffaello Alberti
Le
osservazioni che presentiamo qui di seguito costituiscono un primo tentativo di
inquadrare l’insieme dell’opera cinematografica di Michael Haneke da una
prospettiva inedita; più precisamente, esse riassumono lo sforzo di produrre
teoricamente questa prospettiva, e di offrirne una sperimentazione iniziale.
Ciò avviene a partire da uno studio dei modi della messa in scena nell’ultimo
film dell’autore, Il nastro bianco (Das weisse Band, 2009). Un primo motivo, manifesto, dell’interesse di
questa messa in scena è nell’essere una rappresentazione “cifrata” di un
passato storico che non compare mai sullo schermo; un secondo motivo, che
discende dal primo ma è più profondo, risiede nella concezione della Storia che
è necessariamente implicita in questa rappresentazione. In altre parole, la ratio estetica che
giace al fondo del Nastro bianco non sarebbe la ricostruzione di un’epoca passata, ma la messa
in scena di un divenire-storia della realtà. Se è vero poi che «ogni concezione della storia è
sempre data insieme con una certa esperienza del tempo che è implicita in essa,
che la condiziona e che si tratta, appunto, di portare alla luce», non potremo fare a meno di
procedere ad una scansione delle forme che modulano la temporalità lungo il
film, e di considerare con attenzione il dispositivo di racconto che provvede
alla loro connessione in una struttura significante. In quest’ottica, le nostre
riflessioni potrebbero trarre un arricchimento dal confronto, qui solo
accennato, con la problematica non facile degli equivalenti filmici dei tempi
verbali nella lingua – dunque dal contributo offerto dagli studi
consacrati all’enunciazione filmica (sebbene in essi la questione non sembri
esser stata trattata finora in maniera sufficientemente dettagliata). Ad ogni modo bisognerà far
emergere, insieme alla concezione della storia che vedremo profilarsi, la
concezione del tempo che necessariamente le corrisponde; pare infatti
consustanziale ad ogni racconto la proprietà di sprigionare, al di là delle
stesse operazioni del tempo compiute dalla narrazione, un’immagine del tempo che ne è come l’anamorfosi o la
condensazione visuale. Se Il nastro bianco propone, almeno ad un certo
livello, una filosofia della storia, fa anche sorgere, insieme con essa, una
idea del tempo che
è il suo fondo nascosto e, forse, la sua ragione metafisica.