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THE HOUSE IS NEVER NOT ON FIRE

 

su  Synecdoche New York (2008) di Charlie Kaufman

 

Margherita Palazzo

 

    vengono

diverse e le stesse

con ciascuna è diverso e lo stesso

con ciascuna l’assenza d'amore è diversa

con ciascuna l'assenza d’amore è la stessa. 

  Samuel Beckett

 

nel mondo spiegato e interpretato

 noi non siamo di casa.

R. M. Rilke

 

Il primo film da regista di Charlie Kaufman è un disgorgante potentissimo, un fucile di precisione per un foro dal diametro possente e, chiariamo subito, un capolavoro. I depositi calcarei si dissolvono, l'incubo che è il nostro sogno di vivere in altezza emerge rilucente, ardito. Un acido veleno amoroso che non ha medicamento nel suo doppio.

Auto-referenzialità, egocentrismo, presunzione: forse il limite delle accuse rivolte alla scrittura di Kaufman sta nell'auto-indulgenza con cui ci si pone di fronte alla propria vita. La scrittura in Synecdoche New York zampilla oltre l'inquadratura in un'ascesa punteggiata da imbarazzanti colpi di tosse invece che di fughe di Bach, verticale come musica d'organo in cui rabbrividire, sperduti. Dovremmo essere pronti a riconoscere che la nostra vita è cronologicamente fallata, ontologicamente divaricata e sfilacciata, un conto alla rovescia inascoltato, e che noi siamo storiografi malati, timorosi, senza nerbo. La nostra testimonianza sull'accaduto è vana, mezza cieca, bastonata, di ridicola vecchiezza anche nel pieno delle forze e non documenta credibilmente nessuna delle pulsioni che ci portarono a certe scelte, e non restituisce nessuno dei 40° gradi centigradi in cui speravamo di ardere.

Sarebbe ora di ammettere che rifugiarci nella categoria del surreale è una mossa da scacchista alle prime armi per non riconoscere il nesso che c’inchioda. Che i nostri corpi diventano zavorra, dirigibili coi medici ai comandi, gonfiati metà di elio metà di indistinte aspirazioni: le mani delicate sono proprio brutti artigli quando tentano di afferrare le nuvole! Negare la struttura, di condutture idrauliche di sangue e gas esilarante, è solo l'opera di un diavolo saccente, che digrigna i denti nell'ombra cercando di insabbiare, da roditore malefico qual è, i nostri banali, universali terrori, quelli che diciamo meno.

Nei film migliori, vediamo noi. Caden si scorge alla fine della sua vita-opera in rewind e fast forward, e in uno scorrimento ai lati, orizzontale, diagonale e straripante, in un ultimo nastro di Krapp e di chiunque, registrazione inopportuna di inserti inventati in pre-produzione e sequenze enigmatiche, nel mistero di come è andata veramente. Potete riavvolgere il nastro della vostra vita, sbatterlo sul banco d'imputazione con armi, complici, nemici, incartamenti e cose in busta sigillata. Ma nelle lettere che sbandierate, improvvisamente l'inchiostro s’è dissolto. La prova che credevate decisiva è una montatura fabbricata con energia paranoica, la macchia che resisteva all'aggressione chimica non si vede più, quelli che credevate testimoni chiave sono passanti innocenti, il passante innocente che vi ha visto deperire era colpevole. L'amante di sempre che vi ha offerto la sua tenerezza era un tassista che sussultava e basta, al cadere del vostro corpo sul tetto della macchina: una macchinina giocattolo, dall'alto di una rappresentazione in scala reale della vostra piccolezza. Siete solo una piccola persona. Gli innumerevoli indizi portano a un intrigo: allo specchio compaiono non doppi, ma multipli che salutano con la mano, compatiscono, lontani: sono quelli che potevate essere, quelli che siete stati, ciò che potevano essere gli altri, ciò che sono stati lontano da voi. Siete sineddoche perchè la quantità di identità rubate e rimesse in circolazione che vi caricate in spalla è una patologia da cui siete affetti tutti.

 

[…]

 

 

LA PARTITA DEFINITIVA

 

Conversazione con Charlie Kaufman su Synecdoche New York

 

A cura di Margherita Palazzo

 

 Bologna, 10.05.2010

 

 

Le sue risposte sono semplici e oneste. Ci presentiamo con un'orchidea da parte di Susan Orlean [nel Ladro di orchidee (Adaptation) di Spike Jonze, il protagonista Charlie Kaufman s’innamora un po' di lei guardando la sua foto  sul retro del suo libro]. Sorride. Ci sorride spesso, sfatando in tutto e per tutto l'immagine che viene spesso data di lui, del regista intellettuale pretenzioso che non vuole rendere pubblici i segreti della sua arte. In un incontro successivo salirà sul palco per presentare Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind) un po' scomposto: «Stavo giocando a calcio con mia figlia».

 

Ci ha commosso l'espediente che hai usato per mostrare come Caden “legge” la vita di sua figlia in un diario segreto. Sembra quasi una magia, ma in realtà è proprio così che spesso pensiamo a quelli che abbiamo perso: immaginiamo che parlino di noi, che ci giudichino, che scrivano nel loro diario che ci hanno ormai dimenticato. Come in Eternal sunshine of the Spotless Mind, sembri molto preso dalla questione della memoria, di come si ricordano e rielaborano le cose.

Perchè ho utilizzato l'espediente del diario? Ci sarebbero tante risposte a questa domanda. Quando scrivo un film, cerco di restare sempre nella mente dei miei personaggi, e il diario è una rappresentazione del pensiero di Caden, espresso nel mondo reale. L'aspetto interessante del film è il passaggio del tempo: i sogni (e gli incubi) di Caden si evolvono e mutano e vengono proiettati nel mondo esterno. Li vediamo direttamente, senza bisogno di voice over. Caden perde sua figlia, continua a cercarla ma non riesce a trovarla. Osserva la sua vita prendere una specifica direzione, senza poterla influenzare. Il diario di Olive  allora finisce per essere davvero l'espressione di tutte le paure e delle reazioni irrazionali di Caden.

 

Caden sembra come altri tuoi personaggi ipocondriaco e compulsivo. Ma solo in superficie. Forse sente che non c'è medicina che possa farci accettare l'idea prima della perdita, delle forze vitali e delle persone che amiamo, e poi della morte, la nostra e la loro. Lo scrittore ebreo Jean Amery dice che la vecchiaia è peggio di Auschwitz. Poi si uccide.

Non sono qualificato a parlare dell'esperienza del concentramento, perchè non l'ho vissuta personalmente. Ma so che le malattie di Caden sono indicative della sua inabilità ad esistere. Caden può sembrare un ipocondriaco, ma il suo male è generato dalla mancanza di potere nel proprio mondo, il suo disagio nel tenere sotto controllo la salute del suo corpo e allo stesso tempo nel venire a patti con il mondo della medicina come istituzione. Caden fa i conti con la sensazione di sentirsi un paziente anziché una persona: la sua esperienza con il sistema della cura è totalmente influenzata dalla posizione dei medici. I dottori ti guardano dall'alto in basso, per scoprire cosa esattamente non va in te. Anche qui, ha la massima importanza lo scorrere del tempo, la vita che avanza passo dopo passo portandosi sempre più prossima alla sua periferia. La partita definitiva.

 

[…]

 

 

 

 
 

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