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IL PROIETTILE DELLA VISIONE

 

Un dialogo sul cinema e su tutto il resto

 

JONNY COSTANTINO / ANTONIO MORESCO

 

 

Milano, domenica 22 agosto 2010, primo pomeriggio.

 

[…]

 

Jonny Costantino - Partirei senza riscaldamento, visto che siamo già belli accaldati e in fase digestiva, citando un brano di un tuo saggio-lettera, La forma e la morte, dove parli di “insubordinazione spirituale totale” quale “unico atteggiamento possibile per lo scrittore” e aggiungi: «se si va assolutamente in fondo a una cosa fino a sfondarla, si arriva al punto in cui tutto panicamente prende di nuovo forma e si espande, e l’elemento mentale e quello formale non si riescono più a percepire come separati». Parli di un’opera che tenga dentro tutto, esplosivamente, visionariamente, senza speranze e senza illusioni, fuori dalle posizioni allineate delle avanguardie. Dostoevskij, Kafka, Céline, giusto per citare tre autori profondamente amati da entrambi. Uno status, quello di “insubordinati spirituali totali”, che userei anche per cineasti come Murnau e Dreyer, Chaplin e Stroheim (limitandomi a registi delle origini per cui mostrare e raccontare era tutt’uno) oppure per singoli film al limite come Salò di Pasolini (per la “disperata vitalità” di una critica innervata in una forma radicalmente intrisa di morte, che non dà scampo) o come il più recente Inland Empire di Lynch (per l’oltranzismo del suo voyage anche linguistico nell’impero del didentro, a lacerare il diaframma tra psichico e sensibile, e farli pulsare confusi nel medesimo magma, nel magma del visibile). Non mi dilungo: sono curioso di sapere se e come applicheresti questa chiave al cinema.

 

Aontonio Moresco - Quando scrivevo quella frase, quella specie di illusione o speranza, mi riferivo a quello che mi sembra oggi, soprattutto oggi, l’unico atteggiamento possibile per uno scrittore, per un artista in genere, un voltapagina rispetto a un Novecento che può dirsi finito. Se penso al cinema, sono tanti i film che, non solo mi sono piaciuti, ma che si sono spinti fino a questo limite. Citavi Murnau. Aurora, per esempio, l’ho visto di recente e che mi ha colpito moltissimo. E anche David Lynch m’interessa molto. Avverto però, anche in certi film che mi piacciono, la presenza di un codice. La mia impressione è che il cinema abbia quasi sempre espresso, attraverso un medium diverso, quello che c’era già prima. Con ciò non voglio mettere in discussione la grandissima originalità del cinema, che è un’originalità anche formale, la novità di una forma impossibile prima. Voglio dire che, se penso ai registi che apprezzo, mi sembra evidente che attingono – saccheggiano, in senso buono, in senso forte – da un precedente giacimento di pensiero e di immaginario, perlopiù letterario, teatrale, pittorico. Se guardiamo al cinema nel suo sviluppo, partendo dai suoi primi passi, mi sembra che il cinema muto prenda molto dalla pittura, per metterne in movimento il chiaroscuro violento, per farlo rinascere e rimetterlo in circolazione attraverso un nuovo medium. E se anche ci spostiamo in avanti – nelle fasi successive di quest’arte veloce che, divenendo anche sonora, si sarebbe conquistata zone sempre più ampie di pubblico – il discorso non cambia. Prendiamo il western. Nei film di John Ford, che amo enormemente, ma in fondo in tutti i western, il giacimento in questione è quello biblico. Il mondo di riferimento è infatti un mondo ancora agricolo, pre-industriale, dove c’è l’abigeato, la pulizia etnica, dove gli scontri primordiali sono alla base della costruzione delle prime strutture della legge, dove vigono la Giustizia e la Vendetta. Tutto ciò è pura Bibbia, di nuovo mostrabile attraverso un’arte nuova in un paese nuovo dove ci sono ancora uomini che si spostano in sella ai cavalli e vivono una specie di ripresa della civiltà, di grado zero. Oppure pensiamo ai giapponesi, a Kurosawa per esempio, dove la storia, la cultura, il folclore del Giappone coi suoi riti e i suoi samurai si mischiano con le forme del teatro moderno, un teatro problematico, conflittuale, come quello pirandelliano. Se poi vado in Scandinavia e prendo Bergman, mi viene fuori Ibsen, mi viene fuori Strindberg, ripresentati a un pubblico più vasto attraverso quest’arte popolare nuova, attraverso il potente mezzo del primo piano, che il teatro non possiede, ma la pittura sì. O ancora, se restiamo in Italia e saltiamo dal cinema neorealista – che nei suoi esiti più alti non è per niente lo stampino di una realtà unilaterale, ma essenzialmente cinema di poesia – al cinema dei maestri degli anni Sessanta, ciò che vedo è un intreccio tra la ripresa di tanta letteratura naturalistica (come quella legata alla contingenza della Guerra, enorme evento filmato quasi in presa diretta, nelle sue macerie, nelle sue atrocità) e la grande letteratura del Novecento, com’è evidente, per esempio, in Visconti, Antonioni, Fellini (da Verga a Kafka). Per non parlare dell’elemento surrealista presente in un cineasta come Buñuel o degli influssi dell’esistenzialismo nei registi francesi del dopoguerra…

Cosa voglio dire con questo? Voglio dire semplicemente che c’è tutto un mondo – che è  il 99,99 percento del mondo esistente e possibile – che è rimasto fuori, che ancora non è stato intercettato da questo mezzo potente che è la visione in movimento, che è il cinema, che non è stato ancora attinto e seriamente preso in considerazione dalla visione cinematografica, come un soggetto possibile per una nuova percezione del mondo e per un nuovo salto. Penso a tutto l’infinitamente piccolo, come il mondo dei microbi, il sub-percepibile, a tutto ciò che coi vecchi strumenti non si poteva ancora vedere ma che rappresenta il tessuto più forte, più potente della vita. Ma anche all’infinitamente grande… Ecco, io penso che questa soglia non sia stata ancora varcata nel cinema, che si sia arrivati al massimo alla rappresentazione del paradosso spazio-temporale, attraverso meccanismi magari sorprendenti però ancora di gioco mentale. Il raggiungimento di questa soglia sarà determinante per capire se questo medium possa avere un futuro artistico e spirituale.

È questo il voltapagina a cui alludevo.

 

[…]

 

 

 

 
 

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