SFONDARE LE IMMAGINI
Il riscatto della complessità
nella musica di Mozart
di Anna Scalfaro
Si sa, la
musica non si può mettere in gabbia. Resiste, difende la propria indipendenza,
disdegna chi (per poca immaginazione o per difesa culturale) le affida un senso
univoco. È proprio la natura ambivalente della musica a renderla
componente essenziale del cinema. La sostanza evanescente dei suoni, che non si
lascia toccare ma avvolge i luoghi e le persone, aggiunge profondità spaziale e
lontananza nel tempo alle immagini piatte dello schermo, accenna la presenza di
un “altrove” in cui l’intelligenza dello spirito può confrontarsi libera con se
stessa. Il cinema, d’altro canto, riesce ad associare e a integrare stili e
generi musicali differenti in un meccanismo sincretico che (talvolta) ha del
miracoloso. È un incantesimo però, il cui effetto si protrae «solo nel tempo e
nello spazio» della durata del film.
Mi limito
qui all’impiego di musica preesistente, accantonando la delicata questione
della musica composta per il film. Mi sembra così di poter prediligere, nelle
osservazioni personali sul rapporto tra la colonna sonora e la pellicola, gli
aspetti più musicali, concernenti cioè la forma e la struttura dei brani. È
necessario chiarire che qualsiasi composizione musicale ha un significato
originario, determinato dal periodo storico e dall’ambiente in cui nasce, dalla
funzione che è chiamata ad assolvere nonché dallo stile della scrittura.
L’intrinseca non referenzialità, tuttavia, fa sì che l’arte dei suoni possa
adattarsi, docile e malleabile, a svariati contesti e assumere innumerevoli
sembianze. È indubbio, quindi, che la musica preesistente, impiegata in un
film, perda parte del suo significato originario per adattarsi al racconto
filmico e assumere lineamenti inediti. Da questo punto di vista, il cinema è un
ottimo medium di diffusione della musica d’arte contemporanea (nell’accezione storiografica
del termine, cioè di musica d’arte del Novecento), che, privata di un supporto
come l’immagine, per ragioni di natura percettiva, non riesce a imporsi
all’attenzione del grande pubblico. Il rischio è di associare irrimediabilmente
tali musiche ad un determinato personaggio o ad una determinata situazione
raccontata nel film. A non correre questo rischio sono
le musiche di quegli autori assurti ormai, nell’immaginario collettivo, a miti
della storia della musica e dell’arte in generale, le cui opere musicali, per
il tipo di scrittura più “familiare”, risultano accessibili a più persone
(accessibilità che non significa sempre comprensione). A non correre questo
rischio, insomma, è la musica di Wolfgang Amadeus Mozart.