MACROSTRUTTURE DELLA NARRAZIONE
CINEMATOGRAFICA:
IL RACCONTO MULTIPLO A
MONTAGGIO SCOMBINATO
di SANDRO SPROCCATI
Nella letteratura dell’Occidente la prassi delle acronie narrative è reperibile fin dalle
piú remote origini. L’Odissea, ad esempio, inizia platealmente in media res, vale a dire con il protagonista
già prigioniero di Calipso, così che solo giunto al Canto IX il lettore –
grazie a un’ampia e potente costruzione analettica –potrà apprendere dalla
bocca dell’eroe il resoconto (proferito a beneficio dei Feaci) che gli
consentirà di risalire all’inizio della storia, vale a dire alla partenza di
Odisseo da Ilio e alle prime avversità del suo tormentatissimo viaggio verso
Itaca.
Nello sviluppo della narrazione cinematografica, invece,
il flash-back – che è la piú semplice e primitiva forma di acronia – deve essere considerato
una conquista relativamente tarda, collocabile in epoca comunque
post-griffithiana, se è vero che per trovarne un primo esempio compiuto ed
efficace occorre attendere il 1919, ossia Il gabinetto del Dottor Caligaris (Robert Wiene), nel quale alcuni
eventi sono immaginati come annotati sopra un vecchio taccuino, e pertanto
vengono visualizzati da una sequenza filmica
che li restituisce allo spettatore dopo che questi ha già appreso il loro
séguito.
La narratologia genettiana affronta i problemi di ordine
del racconto muovendo dal principio secondo cui esiste una “normalità di stato”, ossia un grado
zero a livello
narrativo che coincide con la condizione per cui il tempo del racconto e quello della storia si muovono in parallelo tra loro. Si tratta di una condizione
– per cosí dire – del tutto naturale, dato che risponde alla
tendenza, nella vita di tutti giorni, a riferire una serie di eventi accaduti
iniziando dal principio (della successione cronologica dei fatti) e procedendo
verso la fine (della medesima). Una simile inclinazione produce ciò che è da
indicarsi come linearità del racconto, una sorta di vincolo aprioristico rispetto a cui
dovranno essere considerate acronie (nient’altro che figure
retoriche di tipo narrativo) tutte le
diversioni (trasgressioni) operate contro di esso o, in altri termini, tutti
gli scarti (écarts) da ciò che costituisce la linearità, dunque l’ipotetico “grado zero”
narrativo.
Genette ha chiamato analessi le acronie che prevedono una “retrocessione”
del racconto, ossia il recupero di eventi accaduti prima di altri già narrati, e prolessi quelle che prevedono una
“anticipazione”, ossia il resoconto di eventi accaduti dopo quelli che sono ancora da
narrare. Le analessi in letteratura sono talmente frequenti (come del resto anche nel
cinema) che non vale la pena di citare ulteriori esempi dopo quello dell’Odissea di cui dicevo, mentre il caso
forse piú puro e significativo di prolessi, nel romanzo classico moderno si trova all’inizio
de La morte di Ivan Ilič di Lev’ Tolstoj, dove il narratore dedica il primo
capitolo alla descrizione di un fatto (Ivan Ilič è morto) di cui il
racconto, in uno sviluppo diacronico che occupa tutti gli altri undici
capitoli, andrà in seguito a fornire i motivi, i precedenti, i sintomi e le
premonizioni, secondo un criterio di progressiva ricostruzione postuma del
fatto medesimo.