LA SERIETÀ IN GIOCO
SU A SERIOUS MAN
di GIUSEPPE IMPERATORE
RABBINO NACHTNER: Queste domande
che ti turbano, Larry,
forse sono come il mal di denti. Le
senti per un po’ e poi spariscono.
LARRY GOPNIK: Ma io non voglio che
spariscano, voglio una risposta!
RABBINO NACHTNER: Certo, tutti
vogliono una risposta.
Hashem non ci deve la risposta,
Hashem non ci deve proprio niente.
LARRY GOPNIK: Perché lui ci fa
avvertire le domande, se poi non intende darci le risposte?
IL GRIFONE AD ALICE: Dovresti
vergognarti di fare delle domande così semplici!
Lewis Carroll, Alice nel paese
delle meraviglie
Larry
Gopnik è un uomo in diaspora da se stesso e il dramma sta nel fatto che non ne
è consapevole. Certo, c’è il vicino di casa che implacabilmente gli sottrae nuovi
centimetri di giardino ogni volta che tosa l’erba, c’è una moglie che, sedotta
da un altro uomo, pretende il divorzio e lo costringe a dormire in un motel, i
figli, gli studenti e il telefono poi lo assillano con continui reclami, per di
più è sull’orlo di un collasso economico, nervoso ed esistenziale, eppure Larry
è ancora convinto di poter trovare una soluzione ai propri problemi. Poco
importa che il suo stesso corpo adotti sempre delle posture goffe e precarie,
che paia oppresso da una cappa asfissiante e minacciosa che lo sovrasta
pressoché in ogni situazione, anche quando è all’aperto sotto il sole, poco
importa che in un crescendo parossistico sia colpito da sempre nuove sciagure:
inconsapevole del proprio esilio esistenziale, Larry si affanna a risolvere i
problemi transitori che lo affliggono, mentre non si accorge che la sua stessa
vita gli sguscia precipitando lungo pareti piagate dall’inautenticità.
Larry
Gopnik è un uomo che “non fa niente”. Niente per meritare il divorzio, niente
per trovarsi dei dischi rock ogni mese a casa, nessuna pubblicazione al di
fuori dell’istituto in cui lavora, niente. Non è neppure un uomo malvagio,
anzi. «Io non ho fatto niente», ripete in continuazione e, con la stessa
ostinazione con cui rivendica il proprio immobilismo, vorrebbe che nulla mai
cambiasse intorno a sé. Campione della conservazione dello status quo, Larry non si rende conto di non
aver mai avuto una posizione stabile e ferma da difendere. Basta infatti che
gli si opponga un uomo attivo, un uomo agente e non, come lui, agito, un uomo
“abile” come Sy Ableman, che il fronte della sua frana esistenziale si rimette
subito in movimento, trascinando con sé ogni cosa.
A questo
punto Larry, incalzato da ogni dove, prova a cercare delle risposte agendo
nella direzione in cui tutti lo spingono: si rivolge a un rabbino, chiamando
così direttamente in causa Dio e la tradizione. «Siamo ebrei. Abbiamo il pozzo
della tradizione a cui attingere per aiutarci a capire. Quando siamo disperati,
abbiamo tutte le storie tramandate da persone che avevano gli stessi problemi».
Nella sua ricerca indotta, però, Larry non troverà le risposte che cerca: un
parcheggio, una storia senza senso su un dentista e il silenzio del rabbino
anziano non gli bastano, anzi concorrono ad accrescere le frustrazioni, a
scoperchiargli dinanzi agli occhi il suo status instabile, a farlo precipitare
nell’afflizione e nella lamentazione.
Larry
cerca delle risposte. Da professore di fisica amante della matematica qual è,
vorrebbe che le risposte fossero chiare, nette e verificabili. Per lui esistono
regole, assiomi e Leggi. Larry vive nella letteralità, è un mensch, una persona onesta e stimabile,
un uomo serio: che sia proprio la serietà il suo problema? Larry, infatti,
manca di ogni forma di ironia, manca di ogni capacità di leggere altrimenti e altrove ciò che lo circonda, convinto
com’è di esser-ci, qui e ora. Ma Larry non c’è, è un nuovo man who wasn’t
there in diaspora
inconsapevole da sé, dalla comunità e dallo stesso Cosmo in cui è gettato a
vivere. Non è in grado di seguire il precetto di Rashi con cui i Coen aprono la
pellicola a Larry dedicata sin dal titolo, A Serious Man, precetto che recita: «Accogli
con semplicità ogni cosa che ti accade». Nel suo attecchire allo status, nel non accettare il suo non
esser-ci, nell’incapacità di essere “abile” (l’aggettivo habilis principalmente significa
“maneggevole”, “cedevole”, “flessibile”), Larry non può accogliere con
semplicità, ma solo subire con rigida serietà e oscillare violentemente in
attesa dell’inevitabile crollo.
I Coen,
in questa loro pellicola, hanno tratteggiato un personaggio che condensa le
caratteristiche della maggior parte degli individui su cui hanno sempre
costruito le proprie sceneggiature. Le domande “semplici” che mettono in bocca
a Larry, sono quelle che, più o meno tra le righe, ogni loro protagonista si è
posto. Facile inferire che siano le stesse con cui pure loro da sempre si
confrontano. Non è un caso, infatti, che questo per loro sia un film molto
personale (e poco, se non per nulla, citazionista, con un casting non
hollywoodiano e lontano dagli amati riferimenti letterari), un film
autobiografico tanto nell’ambientazione geografica, socio-comunitaria,
familiare e temporale, quanto dal punto di vista, probabilmente, esistenziale.
Eppure non abbiamo mai la sensazione che il loro punto di vista s’identifichi
con quello di Larry, che pare piuttosto un burattino posto nelle loro mani.