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UNO STILE DI VOLONTÀ RADICALE

 

CONVERSAZIONE CON BRUNO DUMONT

 

domande di Antonio Addonizio, Geremia Carrrara, Jonny Costantino,

Gisella Gaspari, Roberto Lippi, Eugenio Premuda, Gian Luca Roncaglia

 

traduzione di Eugenio Premuda

 

a cura di Jonny Costantino ed Eugenio Premuda

 

 

La presente intervista è stata registrata tra il 22 e il 24 ottobre 2004, nel corso di un laboratorio di regia tenuto da Bruno Dumont a Bologna, e costituisce la versione integrale di quanto è confluito nel documentario Bruno Dumont, portrait d’un artiste en trois mouvements di Geremia Carrara e Gisella Gaspari, presente tra i contenuti extra di Flandres, l’edizione francese con doppio dvd.

 

 

Cosa considera un buon soggetto per il cinema?

 

Diciamo che per me un buon soggetto è un piccolo soggetto. Oggi quello che desidero è ridurre l’importanza del soggetto, dal momento che la composizione del film è qualcosa di così complesso da rendere opportuno individuare un soggetto modesto. Il lavoro del cinema è abbastanza lungo e importante da non aver bisogno di poggiare su un soggetto gigantesco. L’essenziale risiede nell’equilibrio delle forze. Bisogna scegliere un piccolo soggetto e lavorare sul motivo. In questo sono molto vicino ai pittori, per i quali il soggetto non ha poi così tanta importanza.

 

E l’origine di questo soggetto quale può essere? Un’immagine, una sensazione, una notizia di cronaca?

 

Braque diceva dipingo fino a che il soggetto non è scomparso, quindi può essere che il mio soggetto possa scomparire. Insomma, non deve succedere che lo spettatore esca dalla sala dicendo che c’è un buon soggetto o un cattivo soggetto. Bisogna distruggere il soggetto, posso trovarne uno facendo non importa cosa, ciò che conta è quanto segue.

 

Questo si trasmette al modo in cui gira? Parte da un’immagine mentale per prenderne le distanze?

 

È molto difficile spiegare il processo necessario che fa sì che un film si metta in marcia. Per me è un mistero. Per esempio, Twentynine Palms è nato a partire da una sensazione. Dunque, per forze di cose, la sua nascita è un mistero. Sapete, lavoro col mio corpo altrettanto bene che con la mia testa, perciò il mio corpo può sentire qualcosa e il mio intelletto seguirlo. Posso pertanto lavorare molto proficuamente a qualcosa che non capisco, e si tratta di un processo non particolarmente intellettualizzato quello che mi fa dire: ho trovato un buon soggetto. Penso che un cosiddetto buon soggetto sia cattivo, almeno per me.

 

Quando lavora sul set, pensa alla messa in scena di uno spazio tridimensionale o alla realizzazione di un’immagine sullo schermo?

 

Quando arrivo sul set, se decido di andare sul set, significa che tutto è pronto. Il momento del set è un momento svuotato di ogni riflessione. Bisogna che io sia in forma, pronto a stare faccia a faccia con la materia, pronto a rispondere alle domande che mi verranno poste. Tutti gli aspetti che hanno riguardato la preparazione del film – la comprensione della sceneggiatura, la scelta della posizione della macchina da presa, il lavoro che riguarda l’inquadratura e il suono… – sono ormai regolati. Insomma, quando mi reco sul set tutto è preparato e la troupe sa molto bene cosa dovrà fare. Ciò di cui mi occupo sono gli attori, sto attento a loro, affinché si trovino nelle migliori condizioni per riuscire.

 

 

 
 

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