UNDERGROUND
LA LINGUA DELL’ARTISTA
di Marcello Tedesco
Memoriale, scena 24, interno giorno,
studio dell’artista
Nella
psicologia dell’artista, o meglio: nel suo subconscio, egli desidera la
malattia, e opera per cadere continuamente in questo stato. È una sua
prerogativa, direi, un atteggiamento che oserei definire come l’unico realmente
sovversivo.
È prima di
tutto un atto di sabotaggio verso la specie alla quale egli non sente di
appartenere, o dalla quale si sente irrevocabilmente escluso, cacciato via. La
sua è una nascita infausta dal punto di vista di chi s’è impadronito della
legge, di chi in realtà l’ha scritta la legge. E nonostante non si ponga in
dialettica con la specie, tuttavia ne subisce in qualche misura il confronto.
Ne condivide inizialmente un linguaggio, per esempio. Infatti, la prima
operazione che l’artista compie è quella di forgiarsi un proprio linguaggio,
questo è il suo primo passo, reso possibile da alcune pratiche che egli
incomincia a frequentare come in una sorta di caccia al tesoro, che in realtà è
un massacro, perché s’incede al buio in uno spazio pieno di lame taglienti.
Ecco, dalla colluttazione del corpo su queste lame affilatissime nasce la
lingua dell’artista.
Il
linguaggio dell’artista nasce dunque dalla ferita, come lei può ora capire.
Certo, di questo discorso in una certa misura s’è abusato, è diventato quasi
una facezia popolare, per assurdo un romanticismo, un modo per idealizzare. Per
diminuirne la portata, alcuni hanno confinato questa verità in un terreno completamente
astratto, mentre di astratto qui c’è molto poco. Lo ripeto: il linguaggio
dell'artista nasce dalla ferita provocata dal suo incedere in un luogo
oscurato, un luogo dove le cose non hanno ancora un nome, non si nomina niente,
e dove sopratutto esistono queste lame affilatissime, che sono come una sorta
di custodi del luogo, ricco di tesori nascosti ma proibiti ai più.
Mi dica,
quanti che lei conosce si addentrerebbero laggiù, magari per uscirne menomati
storpi ciechi ecc... Io credo molto pochi.
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