Per me l’unica gente possibile sono
i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere
salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o
dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi
artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel
mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno “Ooohhh!”
Jack Kerouac, Sulla strada
Entrando a contatto con le opere di Sean Penn, si ha
l’impressione di avere a che fare con un uomo che, tanto davanti quanto dietro
alla macchina da presa, vive. Per evitare equivoci: non parliamo di qualcuno
che vuole “fare della propria vita un’opera d’arte”, né di un uomo che
attraversa con fare intellettualistico la linea sottile che divide e unisce
cinema e vita, per giungere a con-fondere il cinema con la vita. Penn pare
invece aver fatto del cinema uno strumento per amplificare, riverberare e
rifrangere quella scintilla vitale che ha in sé e che trova (declinata,
divaricata e diversamente distorta) in ogni uomo di cui riesca autenticamente a
cogliere l’afflato. Davanti o dietro la macchina da presa, il suo mestiere di
vivere si trasforma in cinema.
Figlio d’arte, Sean Penn ha vissuto a contatto con il
mondo hollywoodiano sin dall’infanzia, quando a Los Angeles frequentava con
inconsapevole naturalezza i set televisivi del padre Leo, attore e regista
ebreo russo il cui cognome originario era lo spagnolo Piñon, storpiato in Penn
a Ellis Island nei primi del Novecento. La madre, Eileen Ryan, per metà
irlandese e italiana, è invece una sensibile e raffinata attrice che, dopo una
promettente carriera teatrale, ha trascurato le scene per dedicarsi alla
famiglia, da cui ha ricevuto in cambio, anche se recalcitrante, la possibilità
di tornare a recitare: prima in tv, per il marito, poi al cinema, con e per il
figlio Sean. Continuando quindi, sul set, a vivere il mestiere di moglie e di madre.
Penn, sin da giovane, ha sempre amato il cinema e la vita.
A quanto pare, era un bambino poco spigliato, tendenzialmente introverso, serio
e riflessivo. Per interpretare e vivere, per giungere a fare le due cose come
una cosa sola ma distinta in se stessa, ha dovuto lavorare con grande intensità
su di sé. Dopo aver studiato con Peggy Feury, membro fondatore dell’Actors
Studio, inizialmente intraprende la strada d’interprete teatrale, un percorso
arduo e accidentato, non privo di errori frustranti e audizioni andate
terribilmente male. Un percorso, nell’arte e nel vivere, affrontato con estremo
coraggio.
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