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DIAGONALI

IL LUOGO DELL’OPERA O CONTRA BABINAM

Autografia e allografia, oggettualismo e performatività (musica, teatro, cinema)

 

di Sandro Sproccati

 

 

Poiché l’attività che chiamiamo arte rientra con ogni evidenza nel campo più vasto dei fenomeni umani di comunicazione linguistica, essa dovrà gioco forza basarsi sulla pro­duzio­ne da parte di un soggetto (l’autore, eventualmente anche plurale) di entità fisiche (oggetti o eventi) che siano investite di valore simbolico, per usare il termine più ampio possibile, ovvero di signi­fica­to. Da quando esistono riflessioni filosofiche intorno al problema, in pratica da quando esiste il concetto stesso di arte, a tali entità fisiche è conferito il titolo di “opere d’arte” – che può essere anche con­vertito in quello, assai più tecnico, di “testi artistici”. A lungo l’estetica clas­sica, così come la storiografia e la critica, hanno dato per scontato che affinché gli scopi dell’arte siano conseguiti (in sostanza: perché un dipinto possa infondere persuasioni, perché un racconto possa riferire vicende, perché una melodia possa suscitare emozioni, perché l’arte insomma possa produrre “contenuti”) l’opera dovrà essere qual­cosa di immediatamente evidente, di completamente riconoscibile, qualcosa che non ri­chieda in alcun modo preliminari ricerche o definizioni di statuto, in definitiva qualcosa di circoscritto e di ben chiaro alla mente e ai sensi di chi voglia fruirla.

Ma il problema del corretto riconoscimento dell’opera, ossia dell’individuazione di ciò che propriamente ed effettivamente costituisce il testo di una operazione artistica, e pertan­to di ciò che forma la cosa esteticamente fruibile, emerge non appe­na si evita di ritenere ovvio ciò che non lo è affatto, cioè che il fruitore abbia sempre a che fare con entità oggettuali nel senso concreto del termine. Anche se con qualche difficoltà, la recente teo­ria dell’arte ha accettato l’opposizione, abbastanza elementare e intuitiva a dire il vero, tra arti oggettualistiche e arti performative, accanto alla distinzione (si­curamente più complessa e controversa) tra arti autografiche e arti allografiche, di cui parlerò in seguito. Ora, tutte le esperienze d’arte che producono eventi in luogo di oggetti veri e propri – e tra esse, per restare nell’e­sclusivo ambito delle modalità tradizionali, si potranno citare al minimo la musica e il teatro – pongono a ben guardare difficoltà notevoli in sede di individuazione (riconoscimento) del “luogo” esatto in cui si situano le loro opere. Ciò accade per un motivo semplice, vale a dire perché tali prassi linguisti­che conoscono non solo il testo come evento (ovviamente fisico, anche se non precisa­mente oggettuale: l’insieme di suoni prodotti in un certo ambiente, oppure l’insieme di azioni compiute da un certo numero di attori su un palcoscenico o in qualsiasi altro luo­go), ma altresì il testo come notazione grafica (lo spartito musicale, il copione o il testo ver­bale di una commedia o di una tragedia) e ancora – benché ciò sia del tutto rilevante solo per la musica – il testo come registrazione dell’evento (l’edizione disco­grafica).

 

 
 

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