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POETICHE

 

CHANTAL AKERMAN

 

Dominique Païni

 

Nei film di Chantal Akerman si è precocemente riconosciuta l'esperienza della durata e una derivazione dalla forma dell'"installazione", benché il termine non fosse per nulla comune ai tempi. Jeanne Dielman fu da molti percepito, all'epoca della sua realizzazione, come una sorta di installazione, anche se non si diceva così. Un film che imponeva cioè una precisa impostazione spaziale alla sala. Il tempo dilatato di tale opera filmica generava, nella sala, uno spazio mentale concentrico. Come se si producesse una camera d'esposizione all'interno della sala di proiezione. Rivedere il film oggi non consente più di rivivere tale esperienza, soprattutto con il supporto del dvd. Perché il film si volta e ci guarda… Così si esprimeva Serge Daney, all'epoca dell'uscita di questo film inaudito. Era un film che si prendeva il tempo di fronteggiare lo spettatore, e ciò fu avvertito immediatamente, ben prima della sua riscoperta in tempi recenti, e dell'idea di installarlo in un museo.

Con Toute une nuit, Chantal Akerman ha distillato idee nuove che si sono fatte strada nelle disposizioni mentali e percettive dello spettatore cinematografico: l'esperienza della ripresa in loop, della ripetizione seriale. Un loop plastico, la sensazione che il film si ripeta, imponendosi e opponendosi alla sottomissione a cui era abituato lo spettatore, quella della drammaturgia di tipo aristotelico – inizio, svolgimento, fine – ossia di un cinema vincolato alla fabula. A un certo punto, con Chantal Akerman, il semplice scorrere di immagini diveniva accettabile, contemplabile (ed era così che il film dava la sensazione di osservare lo spettatore). A un tratto, la trasformazione delle immagini era tanto se non più importante di quella dei personaggi. (In Toute une nuit i protagonisti si incontrano, si abbracciano, ballano un po’ e poi si lasciano. Si ha la sensazione che non succeda niente, che nulla evolva nella loro storia d’amore.) La Akerman fu tra i primi a offrire, non in un museo ma in una sala cinematografica, l’esperienza di ciò di cui oggi si parla. E da allora alcuni artisti e critici hanno cominciato a pensare al cinema esposto. Con Chantal Akerman si osservò per la prima volta il verificarsi di una rivalità tra il racconto e il dispositivo. Tra finzione e installazione. Tra drammaturgia e plasticità.

 

(Traduzione di Federica Cremaschi)

 

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