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DOSSIER

LA VISIONE, LA VITA

 

INTRO

Jonny Costantino

 

Con attrito veniamo espulsi in vita. Nella vita prendiamo corpo. Oscilliamo, fluttuiamo. La visione ci attraversa. Imbocca le fessure. Ci rivolta attraverso gli squarci. Limitandoci ad assorbire, c’ingolfiamo, ci mettiamo a rischio, se non d’implosione, di ammuffimento. Dobbiamo evacuare per disintossicarci. Liberarci. Liberare la visione tra le luci e le ombre del mondo. Fuoriuscire in un precipitato pluridimensionale tanto interiore quanto risonante del fuori. Fare spazio a nuovi nutrimenti. Nuove trasformazioni. Nuovi distillati cerebroculari, cardioventrali. Rifrangerci. La visione non è mai solo ottica. La vita è anche morte.

 

La visione non è questione di decimi, sfocatura del contorno, nitidezza del colore. Non è questione di definizione. È questione di rapporto tra percezione e immaginazione, tra profondità mentale e ampiezza visuale, in relazione al proprio campo di azione vitale. Nel Quattrocento, perso un occhio, Federico di Montefeltro duca di Urbino si fece rimuovere chirurgicamente la radice del naso per vedere in battaglia chi lo avrebbe attaccato sul proprio fianco minato, vulnerato, ed essere in grado di contrattaccare. Prima che di sguardo e prospettiva, ancora prima, la visione è questione di occhio. Colpo d’occhio, occhio colpito. Parola di miope astigmatico cheratoconico.

 

Dove finisce la vita? Dove inizia la visione?

 

[…]

 

 

 

 

 

VOIR / VEDERE

Jean-Luc Nancy

 

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Voir le monde le voir étendu devant soi

Voir: c’est le monde étendu devant soi

Voir étend devant soi le monde, devant moi,

Il l’écarte de moi, il m’écarte de lui,

Il le déploie il me replie

En profondeur, largeur, hauteur,

En couleurs, en valeurs, en lueurs,

Et tout ce qui fait le très vif bonheur

Du lumineux, du luisant,

De la clarté élément dans lequel

Les choses peuvent se montrer choses,

Paraître.

 

[…]

 

Vedere il mondo vederlo disteso davanti a

Vedere: è il mondo disteso davanti a sé

Vedere distende davanti a sé il mondo, davanti a me,

Lo allontana da me, mi allontana da lui,

Lo dispiega mi ripiega

In profondità, larghezza, altezza,

In colori, in valori, in bagliori,

E in tutto ciò che crea la vivissima felicità

Del luminoso, del lucente,

Della chiarità elemento in cui

Le cose possono mostrarsi cose,

Apparire.

 

(Traduzione di Maria Moresco)

 

 

 

 

 

 

 

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AD OCCHI SPALANCATI

Franco Rella

 

Apocalypse Now di Francis Ford Coppola inizia con un canto che canta la fine su cui incombe il volo degli angeli dell’apocalisse che si muovono al ritmo dei rotori degli elicotteri. Inizia con una danza rituale davanti a uno specchio, e si conclude con un’altra danza rituale nella foresta, nel cuore di tenebra. È la danza che prima annuncia e che alla fine introduce al doppio sacrificio, dell’animale e del re, come è raccontato anche nel Ramo d’oro di Frazer, che è sul tavolo di Kurtz che sta leggendo Gli uomini vuoti di Thomas S. Eliot, il poema che porta in esergo la frase: «Mister Kurtz è morto». Il passato mitico e l’adesso, la vita e la morte, tutto è diventato presente, l’eone su cui soffia, come ha detto Jacob Taubes, l’alito mefitico della morte.

La fine è presente fin dall’inizio, è nell’inizio. Coppola ha forse ripensato ad un altro passo di Eliot che apre i Quattro quartetti: «Il tempo presente e il tempo passato / Sono forse entrambi presenti nel tempo futuro / E il tempo futuro contenuto nel tempo passato, / Se tutto il tempo è eternamente presente / Tutto il tempo è irredimibile». Apocalisse non dovrebbe essere catastrofe, ma annuncio. Ma quale annuncio può articolarsi se tutto è già avvenuto e continua ad avvenire? Se Kurtz è già morto? Se il sacrifcio dei padri di The End di Morrison è anch’esso già raccontato?

Questo in un grumo confuso è quanto penso quando mi capita di riflettere su Apocalypse Now. Non spiega però l’immagine che di quel film mi è rimasta e che si è stampata da qualche parte su una parete della mia testa o della mia anima. L’immagine degli occhi spalancati di Wilard alla fine. Wilard sembra essere diventato solo occhi mentre si muove verso l’imbarcazione che lo porterà via. Verso dove non è possibile stabilirlo, perché egli ha veduto e la visione ha cambiato per sempre la sua vita. Ha mutato il suo orizzonte. Marlow torna dal Congo con un sapere, il sapere del male che si occulta nelle parole quotidiane che Kurtz pronunciava come un profeta, e che egli ha udito. Torna però pronto a nuove avventure che via via Joseph Conrad racconterà. Wilard è invece radicalmente mutato. Non è possibile ipotizzare come si muoverà la sua vicenda. Perché Wilard ha veduto.

E noi cosa vediamo quando guardiamo?

 

 

[…]

 






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IGNOTO TESORO NEI PADIGLIONI

Mariangela Gualtieri

 

Una testa fuoriesce dall’acqua, un’acqua piatta, ferma, opaca. A poco a poco è tutto il corpo ad emergere, restando poggiato sulla superficie come su uno specchio.

È un essere d’oro, immerso in preghiera, in un’altezza di concentrazione pari a quella di certi altissimi abeti, di certe pietre. Ha un corpo regale, teso, luminoso, aggraziato, molto leggero.

Un corpo che sta nascendo davanti ai miei occhi – una Dea acquatica. Sta nascendo dentro un nitore geometrico, con un’eleganza senza lacerazioni e sangue, senza grida, senza pianto. Forse s’impara a nascere così, dopo 400 milioni di anni di vita terrestre, con quella naturale compostezza. Assisto alla nascita regale di qualcosa che forse sta al centro dell’universo.

D’un tratto, in un unico scatto, con tutti gli arti insieme, quel corpo si stacca verso l’alto e scompare.

 

Il brivido di questa sequenza permane in me anche dopo lungo tempo: essa dice che succedono meraviglie ad ogni istante, dietro la barriera dello sguardo ordinario.

La sequenza mostra il corpo di una comune zanzara che da allora, per me, non è più stata comune. Sono grata a quell’immagine, a quel film, perché ha così bene rivelato l’enigmaticità, il mistero, la stirpe di questo insetto che da tempo inimmaginabile popola la terra – noi siamo qua da appena qualche milione di anni – e che forse ha una sapienza di vita pari a quella sua sfolgorante, misteriosa bellezza.

 

[…]

 

 

 

 

 

CONSEQUENCE

Antonella Anedda

 

Doveva scrivere un saggio ma la mente si è intorpidita. Le immagini del film visto la notte prima saltavano come lepri sui muri e facevano ombre cinesi. Manca l’audio, gridò, e subito l’accontentarono. Ora il film era completo e poteva ricominciare. Giovanni dalle Bande Nere moriva. Aveva visto quando giravano la scena a Mantova, insieme a qualcuno che era morto non molto tempo dopo.

[…]

 

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