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SCAVI

 

 

LA STREGA SECONDO COPIONE

CONSIDERAZIONI SUL FILM LA STREGONERIA ATTRAVERSO I SECOLI

 

Massimo Centini

 

rifrazioni

La stregoneria attraverso i secoli (1922, titolo originale: Häxan, traducibile dal danese come “strega”) è il primo film che la musa del cinema ha prodotto sulla complessa problematica storico-sociologica caratterizzante la caccia alle streghe. Il film, scritto e diretto da Benjamin Christensen (in bianco e nero, muto e con sottotitoli di Casper Tybjerg), si pone come un’ambiziosa analisi di stampo documentaristico del fenomeno stregoneria, contrassegnata però da tutta una serie di stereotipi di tradizione romantica.

Nel 1968 il produttore inglese Anthony Balch ne propose una versione intitolata Witchcraft through the Ages, ridotta dagli iniziali 104 minuti a 76 minuti, con il commento narrativo di William Seward Burroughs, scrittore statunitense vicino alla Beat Generation, e colonna sonora jazz del giovane Jean-Luc Ponty. La pellicola venne rigettata dalla critica che, giustamente, considerava l’opera riduttiva, priva della forza dell’originale che, pur con tutte le sue imperfezioni e precarietà filologiche, costituiva comunque un’interessante interpretazione cinematografica della stregoneria. Decisamente  fuori luogo la base musicale jazz.

Costato due anni di preparazione, di cui uno per l’allestimento del teatro di posa, e sette mesi per girare, Häxan è un film fortemente autoreferenziale, con didascalie che fanno riferimento a un’operazione di ricerca documentaristica costruita sulle fonti del XV-XVII secolo. Il film di Benjamin Christensen conferma quanto sia stata forte la suggestione esercitata dal Medioevo sulla cinematografia di tutti i tempi; una suggestione sorretta da non pochi luoghi comuni, basati su una storiografia intrisa di miti romantici difficili da sradicare. Emblematicamente nel film è detto che in Europa le streghe mandate sul rogo furono otto milioni: una cifra assolutamente priva di alcun riscontro e certamente lontana dalla realtà storica.

 

Obiettivamente va detto che la pellicola non poteva però sottrarsi agli stereotipi che allora caratterizzavano l’idea della stregoneria, anche in ragione delle effettive conquiste della storiografia dell’epoca. Ciò nonostante le intenzioni – che traspaiono nella parte finale – di fornire chiavi di lettura per tentare di interpretare positivisticamente molte delle vicende e caratteristiche del pensiero magico medievale (si suggerisce di considerare la strega un’isterica). L’enfatizzazione della lussuria, della gola, così come la predominanza degli istinti finalizzati al piacere terreno, fanno dell’excursus proposto da Christensen una sorta di cavalcata dei vizi in cui riverberano gli echi del teatro medievale profano, certo lontano dalla sacra rappresentazione, anche se non indenne dalle influenze di modelli e atmosfere tipiche del linguaggio scenico religioso.

Sul versante prettamente iconografico, vanno segnalate le influenze delle pittura fiamminga (Bosch e Bruegel in particolare), fino alle più impressionistiche evocazioni della pittura di Goya, con l’inserimento di alcune arcaiche forme di animazione. Secondo un diffuso modello interpretativo, si ricorre alla rappresentazione delle divinità tipiche del pantheon pagano, da sfruttare come antesignani dei demoni cristiani.

Quando la macchina da presa inquadra raffigurazioni a stampa con l’iconografia caratteristica della stregoneria, in genere sono state utilizzate le incisioni che illustrano il Compendium maleficarum (1608) di Francesco Maria Guazzo (1570? -1640).

«Benjamin Christensen è riuscito, pare, a combinare i primi piani e i campi lunghi in modo da lumeggiare contemporaneamente cause ed effetti. I progressi tecnici contano molto, poiché quanto più la tecnica è perfetta, tanto più il cinema è in grado di risolvere quei problemi che la scena teatrale, priva di potere illusionistico, non può affrontare» (C.T. Dreyer).

 

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