Ornette Coleman, New York
(da The Love
Revolution. Con Charlie Haden, David Izenzon, Ed Blackwell)
Interno.
Inquadratura fissa. Una stanza. Una lunga prospettiva. Verso la fine della stanza,
su una poltrona, un uomo seduto, immobile. Potrebbe essere morto, o forse sta
pensando intensamente. Dal punto in cui guardiamo, i dettagli del volto si
ritirano. L’interno è lo studio di un artista. Il luogo dove lo sguardo si
forgia per mano di una mano. La grande finestra, alle spalle della figura
seduta, illumina lo spazio. Oltre i vetri, un blocco verde di alberi. La
macchina da presa inizia a muoversi, lentissima, scorrendo su un carrello
centrale verso la figura. Mentre avanza possiamo mettere a fuoco le pareti
laterali della stanza, dove sono attaccati alcuni disegni. Semplici segni,
gesti che invocano rappresentazione. Segni di probabili modelli e segni senza
referente. Segni che vogliono riportare il reale dove la realtà è più vera. E
segni che aprono il reale dove finisce la realtà. Segni del passaggio del
tempo. Foglie. Orizzonti. Terra-cielo. Nuvola-albero-nuvola. Foglia-erba.
Cielo-mare. Mare-roccia. Mare-roccia-cielo. Segni del fuori-uomo. Differenti
formati. Colore. Grafite. La macchina da presa li scavalca come un insetto
tentato dal riposo, nel giardino dei gesti. Un insetto dal probabile volo
lineare nel tentativo filmico. Con le sue ali pellicola. Nell’avanzare
dell’immagine nell’immagine. Da un’apertura ad un'altra. Mentre in questo affondo
dell’occhio, nuovi gesti fioriscono sul muro. Montagna-scoglio.
Mare-albero-foglia. Tronco-cielo. Ramo-nuvola-cielo. Orizzonti. La macchina
comprime lo spazio, lo dilata in cinema. Cinema, o vedere nel tempo. Così,
immacolata, la camera guadagna adesso il piano ravvicinato del volto della
figura, espressione dell’altrove a cui si rivolge. Un volto che dorme. Un volto
dalla superficie lucida come i riflessi della pelle su cui è seduto. Questo
vediamo mentre il pianosequenza lo scavalca verso un'altra luce, attraversando
il vetro della finestra. Finché, con l’interno nel retro del film, e l’esterno
nel farsi del film, la macchina trova il paesaggio, paesaggio come
rappresentazione della natura che dorme sul posto, stampata ad alta definizione
per non essere più un fuori, ma un soggetto adocchiato dalla macchina come più
vero delle foglie mosse dal vento, le foglie di un cartellone pubblicitario.
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