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DITTICI

 

LA VERGOGNA DI VIVERE

 

SU SHAME DI STEVE MCQUEEN

 

Sabrina Foschini

 

 

Shame o della vergogna. Come un corpo costantemente abbeverato di sesso guadagni la sete e come il sesso vissuto al pari di una droga tra piacere e urgenza, diminuisca progressivamente il piacere a favore del mero bisogno. La vergogna è lontana, risiede in un’infanzia non detta, un appunto scritto sui polsi della sorella, costellati di cicatrici e di tentativi, e in una frase di lei che ribadisce: «Non siamo brutte persone, veniamo soltanto da un brutto posto». Cosa ci sia stato prima, se abusi, abbandoni e una complicità incestuosa che abbia permesso loro di sopravvivere, in un angolo di bene fatto per sbaglio, non è dato sapere. Quello che è certo è che il bene per il protagonista è bandito. Il lacerto d’affetto che lo lega a Sissy è un oggetto da respingere al mittente, un sopravvissuto dalla memoria indigesta, per gli abitanti del nuovo mondo. E del resto la vergogna richiede uno smascheramento, una confessione che non c’è mai stata. Brandon non fa che fottere, indifferentemente, carnalmente, virtualmente. Uomo di grande fascino e superbamente dotato, seduce senza fatica le donne che incontra, le scopa contro un muro urbano dal graffito tautologico, poi torna a casa, si masturba con il teatrino erotico di una webcam, entra in un locale gay per farsi fare una fellatio, e magari chiude il girone infernale con un’ultima sega sotto la doccia. Tutto questo senza preferenze e senza appagamento, poiché l’altro non conta, non esiste, semplicemente assolve a un compito e può farlo sia come donna in carne ed ossa o di plastica e pixel allo stesso modo. Certo siamo lontani dalla figura suadente del libertino, anzi la differenza è quella che potrebbe esserci tra un bulimico ed un goloso, con il primo che addenta i surgelati ancora da cuocere, o degli avanzi guasti pur di riempirsi la bocca e l’altro che affina il palato a cogliere la minima nota di sapore. Quando nel meccanismo perfettamente funzionante del toro da monta s’insinua timidamente la variante inaspettata, di un rapporto umano, di un’intesa anche affettiva, la macchina s’inceppa. Così con la collega seducente e gentile, che ha riacquistato nei preliminari lenti e attenti una fisionomia precisa di donna amante, di creatura sentimentale il protagonista del film fa cilecca.

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