rifrazioni dal cinema all'oltre
 

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EDITORIALE 1

 

di Jonny Costantino

 

Rifrazione: fenomeno visivo o sonoro per cui un raggio di luce o un’onda acustica – passando da un mezzo all’altro di diversa densità – cambia direzione e approda altrove rispetto a dove sarebbe giunto se non fosse sopravvenuto un attraversamento.

 

E con questo? Perché chiamare una rivista “Rifrazioni”?

 

Per suggerire l’idea di un attraversamento che conduce altrove, un attraversamento contraddistinto da un margine d’incognita, i cui effetti non sono prefigurabili fino in fondo.

 

Ok… Ma cosa attraversa cosa?

 

C’è uno sguardo che – nel tentativo di farsi pensiero e tradursi in scrittura per esprimere un’urgenza poetica o conquistare una visione – attraversa un medium, un filtro creativo: il cinema.

 

Allora qui il cinema è sempre il mezzo che sta in mezzo?

 

Non necessariamente. Può essere il punto di partenza, l’approdo o anche il pretesto della riflessione. A fare la differenza è ciò che chi scrive mette in gioco attraverso il confronto col cinema, oltre alla necessità della sponda filmica al proprio discorso. Pretesto quindi non come qualcosa di pretestuoso, ma come qualcosa che precede il testo e lo fa scaturire.

 

Perché proprio il cinema quale medium privilegiato?

 

Perché il cinema è un luogo cruciale della contemporaneità, un’arena decisiva di creazione e ratifica, demolizione e fusione degli immaginarî in cui si raggruma l’esperienza della contemporaneità.

 

Dire cinema è dire troppe cose tutte insieme. Cinema è arte e industria, è l’opera e la poetica da cui erompe nonché il prodotto e la macchina che lo realizza, lo distribuisce, lo pubblicizza. Cinema è solitudine creativa e star system, è il pieno del pensiero trasfuso in fotogrammi e la vacuità ingombra di simulacri del gossip… Stringendo: su cosa del cinema o su quale accezione di cinema ruota “Rifrazioni”?

 

Ci sarei arrivato: il cinema come arte, come lingua che rivendica la propria identità di arte in forza del senso – etico, estetico: poetico – che conferisce a un fare che resta per sua natura artigianale. Solo in quanto arte, il cinema si dà quale linguaggio libero e radicalmente critico rispetto alla contemporaneità, a condizione che dietro la macchina da presa ci sia un autore a 360 gradi e non un mestierante alla mercè di logiche e interessi estranei al processo creativo.

 

Però la realtà dei fatti è che oggi l’arte fa giusto il solletico ai rapporti di forza – con le connesse dinamiche di sapere e potere – che regolano la contemporaneità.

 

Non è questo il punto. Non si sta facendo un braccio di ferro. Si tratta di arricchire la coscienza del vivere e far sgranare gli occhi al cospetto di quanto lo attenta, il vivere, di mettere in guardia rispetto agli immaginarî necrotici o inabitabili che intasano il nostro campo visivo e orizzonte mentale, in modo più o meno subdolo. Questo fa un’arte che non si vergogna di dirsi responsabile, e soprattutto lo fa fuori della dialettica pragmatica con cui i partiti e le multinazionali fanno i loro comodi,  una tetra dialettica da cui l’arte può uscirne solo prevaricata, col polso spezzato. La resistenza dell’arte e del pensiero responsabili è una resistenza non partigiana che protegge e affranca, e si attua attraverso uno scavalcamento di piani, un salto di livello, uno scarto poetico che avviene rivelando, stenebrando, mirando direttamente o indirettamente lì dove la vita pulsa o agonizza, squarciando spiragli da cui s’intravedono mondi possibili, ma senza staccare le mani dalla dura pietra di cui sono fatti i muri del presente. È quello che si cercherà di fare in “Rifrazioni”. L’alternativa è spettacolo, intrattenimento, evasione, se non divulgazione, comunicazione livellata, chiacchiera…

 

…tutte cose che, immagino, verranno demonizzate in una rivista che nasce da presupposti così seri.

 

Per carità! Qui non si sta preparando il terreno a demonizzazione alcuna. Tutt’altro. Si dà il giusto peso specifico alle cose, o se preferisci: si tira la pietra senza nascondere la mano. Esprimere una coscienza del presente non significa automaticamente bandire quanto da essa viene riconosciuto come negativo, implica semmai il bisogno di approfondire il pericolo, stanare la minaccia, aprirsi alla comprensione di quel che si contrasta. In “Rifrazioni” non ci saranno zone tabù per le traiettorie di sguardo che prenderanno forma sulle sue pagine, né condizionamenti ideologici. Questa rivista nasce come spazio di apertura e affondo, liberazione e moltiplicazione di forze, confronto e scontro, avventura e gioco. Se si vuole parlare di serietà, quella di cui alziamo il vessillo – ora sorridendo, ora ridendo – è semmai la serietà con cui i bambini s’immergono nei loro giochi, per dirla con Nietzsche.

 

Allora, se le cose stanno così, perché un sottotitolo come “dal cinema all’oltre” e non “dall’arte all’oltre” o “dal pensiero all’oltre”? Perché questa delimitazione?

 

Non si tratta di de-limitare. Piuttosto di scegliere un’angolazione, una prospettiva elettiva, la goccia capace di catturare e rifrangere il riflesso di un mondo. Il cinema, per sua natura, è un luogo ideale di convergenza e conflagrazione delle altre arti e del pensiero, del pensiero dell’arte, dell’arte del pensiero. In tal senso André Bazin – il papà dei critici dei “Cahiers du cinéma” che poi sarebbero diventati i cineasti della Nouvelle Vague – definiva il cinema un’arte impura, paragonandolo a un fiume il cui flusso è capace di assimilare creativamente i formidabili materiali che le “arti rivierasche” hanno accumulato vicino al suo letto nel corso dei secoli, senza per questo volersi sostituire a esse, al contrario. «Se ne appropria perché ne ha bisogno, e perché noi proviamo il desiderio di ritrovarle attraverso di esso».

 

Arte impura è perciò un altro modo di dire arte sintetica?

 

Non proprio. Le arti che confluiscono nel cinema non si lasciano sintetizzare, semplicemente diventano cinema, si trasfondono in esso pur mantenendo viva la traccia – in forma di reperto o suggestione o irradiazione – della propria sorgente linguistica. Perciò, più che una sintesi, il cinema rappresenta una parte per il tutto, una privilegiata sineddoche dell’arte, e al contempo un luogo di attivazione differente, di ri-esistenza per le altre arti. È questa la ragione per cui Rifrazioni è anche la rivista di artisti e pensatori che nutrono il desiderio di muoversi per le contrade cinematografiche sospinti da quesiti e problemi provenienti dai rispettivi linguaggi e ambiti, senza ansie specialistiche.

 

Ma tali presupposti non possono apparire elitari, non rischiano cioè di restringere la sfera dei lettori potenziali?

 

Tutt’altro. “Rifrazioni” ambisce a divenire un luogo di riflessione per tutti, per tutti i lettori che condividono questo spirito avventuroso, che vivono l’arte e il cinema come qualcosa di vivo, vivificante, e di conseguenza mal digeriscono le critiche con le gambe accavallate e i giudizi snocciolati col freno a mano. In altre parole: la rivista per coloro che hanno bisogno di sentire che chi scrive non si sta limitando a spolverare usurati strumenti d’analisi,  ma si sta ponendo un interrogativo che incide sul suo presente di uomo che pensa e s’esprime, che si sta giocando qualcosa, che sta rilanciando sul piano della riflessione o dell’espressione o di entrambe, a costo di un azzardo.

 

Qualcosa di analogo accade anche con l’immagine di copertina?

 

Appunto. Essa sarà sempre affidata a un artista visivo che abbia accettato di esprimersi a ridosso di un fotogramma, di una traccia cinematografica, abbia cioè accolto una sfida: innestare un “corpo estraneo” nella propria dimensione creativa, il che può comportare un deragliamento.

 

Dunque “Rifrazioni” si preannuncia come un luogo di messa in discussione?

 

Sì, ed è in consonanza con questa tensione che nel sottotitolo compare la parola oltre, intesa in senso dinamico e relativo, quale al di là di una soglia – linea estrema o anche eccesso – verso cui spingersi muovendo dal cinema, attraverso il cinema.

 

Puoi essere più chiaro?

 

Qui l’oltre è ciò che non conosciamo al momento in cui ci mettiamo in cammino, è l’altrove dove si giunge superando un limite, dopo uno sconfinamento. È lo spazio dell’addentramento, della conquista auspicata, ma anche della contraddizione e del dubbio, dello spaesamento in agguato.

 

Concretamente, come si manifesterà l’oltre di cui parli in “Rifrazioni”?

 

Come urlo o, al contrario, diagramma. Come istantanea o memoria di un paesaggio interiore o esteriore. Come incorporamento dell’ignoto o scivolone sul liscio di un’evidenza ottusa. Come visione che sposta la prospettiva e le fornisce un nuovo ancoraggio oppure perdita d’equilibrio, vertigine. Come interrogazione e stupore, urto e brivido. Come precipitato che illumina perché strappato al buio oppure scheggia che spiazza perché ha trattenuto il batticuore di chi – scrivendo, anche solo per un attimo – s’è smarrito nella parola. O ancora…

 

Così mi confondi…

 

Sono le pressioni dell’oltre…

 

 

 

 

 
 

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