DOSSIER NOIR
Il fascino discreto dell’ambiguità
Note su Vertigo di Alfred Hitchcock
di Mario Pezzella
1. Nella
prima sequenza del film, il detective Scottie non riesce a impedire che il suo
compagno, mentre cerca di salvarlo, precipiti nel vuoto: sospeso a una
grondaia, il suo terrore si materializza in un’inquadratura diretta da altezza
vertiginosa verso il basso, in una verticalità quasi a piombo. È una
soggettiva, che ci rinvia allo smarrimento psichico di Scottie, e altre ne
vedremo, assai simili, nel corso del film. Del resto, già nei titoli di testa,
dall’occhio di Madeleine in primo piano siamo precipitati nel fondo del suo
sguardo, che –come poi sapremo – proviene da un fantasma e richiama
nel nulla. L’occhio si frammenta in astratte figure geometriche agitate da un
movimento caleidoscopico di vertigine, anticipando il destino di Scottie, che
in quello sguardo si perderà affascinato.
Ma che
uomo è Scottie? In certa misura egli rispetta gli stereotipi del detective del
“genere” noir.
È un uomo solitario, ironico, misogino; sappiamo che nutre o ha nutrito grandi
ambizioni fin dai tempi dell’università e ora queste hanno subito un colpo
decisivo dopo l’incidente. La sua amica Marjorie, innamorata infelicemente e
non troppo segretamente di lui, glielo ricorda: «Volevi diventare un grande
avvocato, il capo della polizia». Possiamo intuire che, nel momento in cui
avviene il trauma, i suoi sogni di grandezza siano già vacillanti o delusi.
Possiamo anche supporre che l’incidente gli offra in fondo una via d’uscita,
una giustificazione del fallimento, che non lo obblighi a porre davvero in
discussione se stesso. Nel rapporto con Marjorie, emerge la sua diffidenza
verso le donne, il suo timore di un’eccessiva vicinanza affettiva, che potrebbe
minacciare la sua autosufficienza («non essere così materna», rimprovera
l’amica). La relazione “normale”, che gli viene proposta da Marjorie, non lo
interessa, non è all’altezza del suo Io sublime; che è invece inconsapevolmente
in attesa di incontrare il suo fantasma femminile, primordiale e immaginario.
Scottie è
un narcisista, ma – a differenza dei detective di altri film noir, come il Bogart de Il mistero
del falco –
è minato da una radicale fragilità. Autonomo, spirituale, ambizioso, il suo Io
ha la pericolosa tendenza a non sopportare le sue stesse pretese e ad essere
attratto dalla caduta. Come il funambolo di Nietzsche, egli ama camminare sul
filo, a un’altezza irraggiungibile dai comuni mortali; ma la sua sicurezza di
sé è fittizia, il suo superomismo è superficiale, e quanto più tenta di
mantenersi in alto, tanto più è esposto alla vertigine e alla frammentazione.
La sua paura dell’altezza compensa negativamente l’immagine grandiosa di sé, da
cui Scottie è posseduto. L’immagine metaforica della caduta dall’alto, che
articola lo spazio del film, ricorre in molte inquadrature, e soprattutto nelle
sequenze in cui la finta Madeleine e poi Judy precipitano dalla torre della
missione spagnola.
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